Si è alzato ufficialmente il sipario sulla Stagione Sportiva 2019/2020 del CSI Teramo. La Convention di presentazione, ospitata presso l’Hotel Bellavista di Roseto degli Abruzzi, ha visto tra gli altri ospiti, il forte stopper della Juventus negli anni 80 Sergio Brio.
Una mole da gigante, una grinta e un carattere fuori dal comune.
Quel carattere che gli ha permesso di battere la sfortuna (che nel corso di un’amichevole si era palesata sottoforma di un gravissimo infortunio al ginocchio) e di affermarsi in una delle Juventus più forti di tutti i tempi, quella dei primi anni 80 che vantava nella sua rosa ben 6 campioni del mondo.
Un grande giocatore, uno dei cinque al mondo che ha vinto tutti i trofei Fifa e Uefa del suo tempo.
Ma allo stesso tempo un grande uomo, capace di aiutare economicamente un suo ex compagno di squadra, il portiere Massimo Piloni, in un momento in cui tutto il mondo del calcio lo aveva dimenticato, ma anche di scrivere a quattro mani (insieme con Luigia Casertano) un libro, il cui incasso è stato completamente devoluto in beneficienza per la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro presieduta da Allegra Agnelli, mamma di Andrea, attuale presidente del club torinese.

Parola a Sergio Brio intervistato da Paolo Sinibaldi:
“Ho coronato il sogno che avevo da bambino: vestire la maglia bianconero e ottenere grandi successi. Sono stato a Torino per 13 anni, sono orgoglioso di quello che ho fatto perché non è da tutti giocare per così tanto tempo con una sola maglia”.
Poi con estrema cortesia risponde alle domande del folto pubblico intervenuto al rendez-vous arancio-blu, parlando dei suoi esordi e dei personaggi incontrati in carriera :
“Subito dopo l’esordio al Lecce mi vendettero in Prima Categoria per pochi spiccioli. Mio padre, che non seguiva affatto il calcio, in quell’occasione si interessò e si oppose al trasferimento: fu la mia fortuna. In breve tempo si interessarono a me le principali squadre italiane. Fui venduto alla Juve, e dalla Serie C mi ritrovai in spogliatoio con Causio, Altafini, Zoff, Furino e altri campioni inarrivabili. Avevo diciotto anni e mi chiedevo cosa ci facessi lì. Poi andai in prestito alla Pistoiese, fu un passo indietro che accettai a fatica, ma mi servì per tornare con i piedi per terra. L’attaccante che mi ha creato più difficoltà? E’ stato Marco Van Basten: aveva una rapidità fuori dal comune e una tecnica incredibile. Platini inizialmente aveva l’atteggiamento di grandeur tipico dei francesi, quando gli abbiamo fatto capire di essere arrivato in uno spogliatoio ricco di campioni, si è posto con più umiltà ed è diventato uno di noi. Cabrini? Un grande campione e un bravissimo ragazzo”.

Poi la memoria scivola inevitabilmente alla notte del 29 maggio 1985, la strage dell’Heysel in cui persero la vita 39 persone, di cui 32 provenienti dall’Italia:
“Inizialmente ci dissero che c’era un solo morto. Solo in albergo ci raccontarono la verità in tutta la sua drammatica crudezza. Non volevamo giocare, siamo scesi in campo perché ci hanno costretto, per motivi di ordine pubblico”.
Infine l’ultimo ricordo, il più dolce, quello dedicato al compianto Gaetano Scirea nel trentennale della sua tragica scomparsa:
“Era un ragazzo schivo, parlava pochissimo, ma quando prendeva la parola nello spogliatoio non volava una mosca, aveva un carisma incredibile, tutti lo stavano a sentire”.