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Sembra normale oggi assistendo ad un incontro di calcio poter riconoscere i vari calciatori semplicemente dal numero e/o dal nome apposto sul dorso delle loro casacche; nel corso della lunga storia del gioco del calcio però, non è sempre stato così. La numerazione delle casacche dei calciatori fu infatti adottata per la prima volta in Inghilterra nell’agosto del 1928 quando Herbert Champan, manager dell’Arsenal, nell’incontro casalingo contro lo Shieffield, fece scendere in campo i suoi uomini con i numeri dall’uno all’undici cuciti sul retro delle magliette.
L’idea ebbe un tale successo che convinse la Lega inglese ad ufficializzare la novità: le formazioni di casa avrebbero giocato con la numerazione dall’1 all’11 mentre le squadre ospiti avrebbero invece adottato i numeri dal 12 al 22. Ci si rese ben presto conto che l’individuazione dei giocatori, motivo che spinse Champan alla numerazione degli uomini, poteva essere comunque facilitata anche e soprattutto dai colori delle maglie, così dagli anni 40 fu utilizzata la numerazione standard 1 – 11 per entrambe le formazioni contendenti.
Dal 1993 sempre in Inghilterra, dettata prettamente da motivi commerciali legati alle riprese televisive, debuttò la numerazione americana caratterizzata dall’utilizzo dei cognomi dei giocatori e dalla numerazione dall’ 1 al 99 sulle spalle. In campo internazionale la Fifa adottò la numerazione sistematica, cioè l’utilizzo dello stesso numero per ciascun giocatore iscritto al torneo, a partire dai campionati mondiali del 1954 di Svizzera. L’assegnazione dei numeri di maglia si è sempre rivelata un’operazione difficile per le autorità deputate a ciò, sia a causa degli intrighi interni agli spogliatoi delle squadre calcistiche, sia a causa dei riti scaramantici legati alla numerologia, responsabili, a dire di alcuni atleti, dei successi o degli insuccessi nelle imprese sportive.
L’Afa , la federazione argentina, ad esempio, distribuiva i numeri seguendo rigorosamente l’ordine alfabetico dei cognomi dei giocatori, chi non ricorda il centrocampista albiceleste Osvaldo Ardiles quando nel finire degli anni 70 scendeva in campo con il numero 1 sulle spalle? (oggi la Fifa impone che il numero 1 sia assegnato obbligatoriamente ad un portiere).
Una dimenticanza però ha fatto si che un numero, il 10, aquisisse nel corso del tempo quel fascino e quella gloria sportiva che tutti i veri appassionati di calcio riconoscono a questo numero. Tutto ebbe inizio nel 1958 quando i dirigenti della federazione brasiliana, come da prassi, inviano ai funzionari Fifa la lista dei giocatori carioca che avrebbero preso parte al mondiale di Svezia.
L’elenco che normalmente prevedeva l’abbinamento di ciascun nome dell’atleta con il rispettivo numero di maglia assegnato, per una svista dei brasiliani, giunse alla Fifa privo dei numeri.
Il compito di risolvere l’inconveniente fu affidato al delegato (uruguaiano) Fifa che assegnò i numeri ai giocatori brasiliani totalmente a caso. Fu così che al portiere titolare Gilmar fu affibbiato ad esempio il “3”, mentre ad un emerito sconosciuto diciassettenne, tale Edmond Arantes do Nascimento venne invece assegnato il “10”. In quel mondiale, giocato in Svezia, il giovanotto brasiliano col 10 si rivelò quel fenomeno che tutti oggi ricordano con il nome di Pelè e proprio dalle gesta della “perla nera” Pelè ebbe inizio la consacrazione del 10.
Successivamente nel corso del tempo il 10 è divenuto il numero del regista di centrocampo per eccellenza, indossato da tutti i più talentuosi giocatori mai visti su di un campo di calcio; Eusebio, Rivera, Maradona, Zico, Platini,Baggio … hanno infatti, nelle formazioni di club o nelle rispettive nazionali, indossato la 10 .
Curiosamente però uno dei più forti giocatori di tutti i tempi, l’olandese Johan Crujiff ha sempre o quasi giocato con il “14” .