“Il sistema sportivo è una tigre da cavalcare” è l’efficace metafora che Fabio Bugli del Comitato scientifico Scais (Società consulenza assistenza impiantistica sportiva), ha usato per descrivere le potenzialità del sistema sportivo italiano.
Ma da dove deriva questa metafora? Si è sviluppata nel corso di un convegno svoltosi a Pescara nelle scorse settimane dedicato all’impiantistica sportiva dal titolo “Progettare sport” organizzato da Scais con il Comune di Pescara. Una mattinata che ha visto la partecipazione di ingegneri e architetti unitisi al dibattito per dare il loro contributo.
“Un sistema sportivo – spiega Fabio Bugli – è costituito da due voci: i praticanti cioè coloro che praticano attività sportiva e i servizi cioè le strutture dove svolgere gli sport. Un sistema complesso per la pluralità di soggetti che chiedono l’uso degli spazi; per gli obiettivi diversificati a seconda delle richieste e per le tendenze cioè tutto ciò che nel tempo altera i gusti degli utenti. Una complessità che si sintetizza con un numero: sono 150 le discipline riconosciute dal Coni”.
In Italia la popolazione è divisa tra un 45% che dichiara di non praticare nessuna attività e un 55% che, al contrario, pratica attività sportiva e chiede spazi idonei. Percentuali che, però, non rispecchiano l’impatto che il sistema sportivo potrebbe realmente avere sull’economia nazionale: “Se usiamo come metro di paragone la Germania – dice Bugli – siamo di molto inferiori: in Italia lo sport rappresenta l’1,7% del Pil e da lavoro a un quarto di persone rispetto alla Germania dove il sistema sportivo corrisponde al 3% del Pil e vi lavorano 5 milioni di persone”.
Basterebbe questa forbice così ampia per dimostrare che la tigre italiana può fare ancora tanto ma, nel corso del seminario, sono stati aggiunti altri dati come per esempio l’importante ruolo che si potrebbe instaurare tra sport e turismo: “Nel nostro paese – precisa Bugli – un italiano su quattro sceglie la mèta della vacanze in relazione all’offerta sportiva; in Europa questo rapporto è cresciuto del 150%. Altro aspetto critico: l’edilizia sportiva muove un miliardo di euro ma il 10% degli impianti è inattivo ai quali vanno aggiunti anche quelli inagibili per problemi progettuali. Tutto denaro speso inutilmente”.
E a Pescara, che situazione c’è? Non diversa dal quadro nazionale. In Abruzzo coloro che praticano sport sono il 26,9% leggermente al di sotto della media nazionale e gli impianti sportivi hanno un problema: sono vecchi.
“La maggior parte delle strutture – ha dichiarato Maurizio Vicaretti presidente dell’Ordine degli ingegneri di Pescara – hanno più di 40 anni e mi riferisco a palestre scolastiche, al PalaElettra e alle piscine Le Naiadi. La prima cosa da fare, sarebbe quella di procedere a una riqualificazione energetica perché i costi più elevati sono proprio i costumi per l’energia”.
Ma Pescara e l’Abruzzo hanno dalla loro un cavallo di razza da domare: lo stadio Adriatico Giovanni Cornacchia. Un impianto che ha visto la Serie A e più di una volta anche la Nazionale (maggiore e Under 21) e sul quale bisognerebbe sviluppare una progettualità ad ampio respiro: “Si dovrebbe guardare oltre – le parole di Antonio Di Matteo delegato agli impianti sportivi del Coni Abruzzo – con un investimento di circa 40 milioni di euro per realizzare un impianto di atletica leggera, piscina e attività commerciali”.
Un progetto che nel tempo potrebbe prendere forma vista anche la volontà del Comune di Pescara di esternalizzare la gestione: “I costi sono diventati insostenibili – afferma il sindaco Marco Alessandrini – un milione e 200mila euro l’anno per gestire lo stadio, è una cifra che non riusciamo più a coprire. Un pensiero al quale daremo forma solo se si garantirà l’accesso a chi non pratica il calcio. In poche parole: la gestione esterna dello stadio Adriatico sarà concreta solo se nel progetto sarà inserito la realizzazione di un impianto di atletica”.
Insomma, l’Italia come paese e l’Abruzzo come regione, possono e devono fare di più per fare del sistema sportivo nazionale un elemento strategico per il territorio anche attraverso il recupero e la valorizzazione delle strutture esistenti ma non usate o lasciate all’abbandono. Solo così, magari, un giorno, cammineremo a fianco di questa tigre che ringhia ma (per ora) non morde.