Una predestinata? Forse. Fatto sta che Martina Rosucci, classe 1992, centrocampista del Brescia calcio femminile e della Nazionale italiana, ha già conquistato una medaglia d’oro e una di bronzo ai campionati d’Europa Under 19 rispettivamente nel 2008 e nel 2011. Una carriera azzurra fulminea che nel 2013 l’ha vista approdare nella Nazionale maggiore.
A livello di club, con il Brescia lo scorso anno alza lo scudetto e la Supercoppa Italiana; il tutto impreziosito dalla vittoria del Pallone d’oro 2014.
“A soli 23 anni Martina ha già conquistato trofei prestigiosi in Italia e in Europa che la inseriscono nell’olimpo del calcio rosa nostrano. Un talento che vogliamo conoscere un po’ meglio proprio attraverso questa intervista, per la quale la ringrazio infinitamente, che ha rilasciato in esclusiva per Postcalcium.
Il mondo del calcio, com’è entrato nella tua vita?
“Le passioni entrano nella tua vita senza che tu nemmeno ti accorga come o perché, prendendosi tutto lo spazio delle tue giornate senza chiederlo. Il mondo del calcio entra così nella mia vita, senza chiedere permesso; ogni giorno, e nella maggior parte dei momenti: non solo in quelli della partita, dell’allenamento o della serata di Champions in tv ma anche nei gesti quotidiani, che sfrutto al massimo per costruire il mio corpo e la mia mente affinché siano sempre preparati. È prima di tutto una passione ma anche un lavoro ormai per me, per cui non potrebbe essere altrimenti se voglio stare a certi livelli”.
Cosa rappresenta per te indossare la maglia della Nazionale italiana di calcio femminile?
“È la più bella maglia che si possa indossare, la più importante, quella che ti regala più emozioni. Sei incaricato di rappresentare il tuo paese, che personalmente amo molto, in Europa e nel mondo, di onorarlo e di renderlo quanto meno orgoglioso di te. Essere dei prescelti è un grande privilegio, ma anche un’enorme responsabilità e ci vanno sacrificio, dedizione e costanza per mantenere questo ruolo. Farò di tutto per custodire al meglio questo regalo”.
Dal Torino al Brescia. Quali differenze e punti di contatto tra le due realtà sportive?
“Il comune denominatore di Brescia e Torino è sicuramente il fatto che entrambe costituiscono due dei maggiori ‘bacini’ d’Italia per presenza di giovani talentuose. Da sempre queste due città hanno fornito tantissime giocatrici alle Nazionali Under e successivamente alle maggiori. La differenza sostanziale è invece nella gestione della società per quanto riguarda sia la prima squadra che il settore giovanile. Torino era qualche anno fa una delle squadre più forti d’Italia e Brescia, al contrario, militava in serie B. Ma al giorno d’oggi chi costruisce e progetta va avanti e supera, chi invece non è in grado di sfruttare le circostanze e le occasioni sta fermo e viene superato, da tutti. E questa è stata la sostanziale differenza tra queste due società: il Torino, con mio profondo dispiacere, per un’incapacità gestionale da parte della società, è affondata lasciandosi scappare numerose giocatrici; il Brescia, invece, ha trovato nella figura del Presidente una persona che ha fatto del sacrificio, degli investimenti e dei progetti la sua forza, portando la sua squadra a vincere in pochi anni coppa Italia, Campionato, Supercoppa e ad accedere in Champions League. Inoltre c’è grande attenzione nei confronti del settore giovanile, senza il quale non avremmo futuro”.
L’Italia e il calcio femminile, avranno un futuro?
“Devono avercelo. Se così non fosse sarebbe un gravissimo errore degli addetti ai lavori, delle Federazioni, delle associazioni, delle società, degli staff e infine, ma non per ultime, delle calciatrici. Non voglio paragonare il calcio femminile a quello maschile in Italia, perché sarebbe inutile e irreale. Voglio confrontare il calcio femminile italiano con quello degli altri paesi del mondo, dove i numeri parlano forte, chiaro e descrivono quello sviluppo esponenziale che dà risposta alla frase pronunciata da Platini qualche anno fa: ‘Il futuro del calcio è donna’. Per far si che l’Italia abbia un futuro non solo nel calcio, ma in tutti gli sport femminili, dobbiamo evadere da quella gabbia di maschilismo che ancora imprigiona la vita sociale del nostro paese. Ma non è solo il maschilismo che ci sbarra le porte, almeno per quanto riguarda il calcio femminile. Il problema più grande per noi è quello di far parte dei Dilettanti, limite che non ci permette nemmeno di annusare il professionismo europeo e mondiale. Finché dall’alto non prenderanno la decisone di farci uscire da questo ‘status’ potremo solo sperare che l’Italia possa partecipare ad un mondiale, senza raggiungerlo mai. Solo da quel momento si potrà cominciare ad investire davvero sulle giocatrici sia a livello calcistico che a livello mediatico; ad investire già dalle basi, dalla costituzione di settori giovanili che permettano alle piccole calciatrici di crescere in un certo modo e di avere le capacità per raggiungere certi livelli”.
Un tuo idolo trai colleghi maschi?
“Il mio idolo tra i colleghi maschi è Claudio Marchisio. Mi ispiro molto a lui perché, oltre a giocare nel suo stesso ruolo e ad avere caratteristiche calcistiche, a detta degli altri, simili a lui, è uno dei centrocampisti a mio parere più completi del mondo. Amo, oltre al suo talento, la sua applicazione, la sua costanza e la sua personalità.Chissà se un giorno in Italia mi chiederanno chi è il mio idolo calcistico, senza specificare se uomo o donna: ne sarei felice!”.
Com’è la tua vita fuori dal campo di calcio?
“Sono una studentessa e frequento il terzo anno della facoltà di Scienze motorie, corso a frequenza obbligatoria che richiede molto del mio tempo extra calcistico; ma anche questo è un modo per costruire il mio futuro dove ci sarà senz’altro il calcio, magari come tecnico. La mia vita è felicissima e ogni giorno mi ripeto quanto io sia fortunata. Ho una famiglia fantastica che mi sostiene in ogni scelta, un fratello gemello che è la metà del mio cuore e un gruppo di persone, poche, ma buone che condividono con me i momenti più importanti contribuendo ai miei sorrisi”.