“Non riesco ad andare sul campo. Mi fa ancora male vedere le altre giocare, mi manca troppo il pallone!”
E’ questa la parte dell’intervista che mi ha colpito di più e dimostra come, quando non sei tu a scegliere di lasciare una cosa, in questo caso il calcio, è difficile farci i conti da spettatore. Spettatrice in questo caso.
Eh già perché Manuela Marzuoli, ex calciatrice di Chieti e Pescara, ha dovuto appendere le scarpette al chiodo a causa di infortuni abbastanza seri. Ha lasciato il campo sì, ma la passione per il pallone le è rimasta nel cuore.
Con lei ho fatto una chiacchierata al telefono…
Il calcio e Manuela, amore a prima vista?
“Subito, giocavo con i maschietti al parco sotto casa mia. Oggi per fortuna e tutto più facile, ai miei tempi invece ho dovuto aspettare i 14 per andare in squadra di calcio femminile, ora ci sono le scuole calcio”.
Raccontaci le tue esperienze calcistiche
“Ho iniziato a Spoltore a 14 anni con la Serie C a quei tempi regionale, poi sono andata al Chieti Femminile per poi tornare a Pescara nel Pescara Femminile da capitano”.
C’è stato un momento in cui hai capito che dovevi appendere le scarpette al chiodo?
“Purtroppo non fu una mia scelta ma colpa di infortuni vari. Non mi sono mai fatta male (grave) durante la mia carriera, poi una serie negativa come la rottura del malleolo, il legamento, il perone… Ho avuto paura dopo a tornare a giocare, sono sincera”.
Segui ancora il calcio femminile?
“Ti dico la verità: seguo sui social, tv e giornali ma non riesco ad andare sul campo. Mi fa ancora male vedere le altre giocare, mi manca troppo il pallone! Ho seguito il Mondiale francese, seguo gli streaming del Pescara Femminile ma dal vivo non riesco”.
Secondo te il calcio femminile italiano sta davvero cambiando?
“Assolutamente sì! Certo, l’America sta ancora troppo avanti; pensa che già nel 1998, feci un torneo lì e rimasi sbalordita dalla considerazione e dal ruolo sociale che il calcio femminile aveva, davvero un altro mondo! Finalmente adesso ci vedono anche qui, era ora… In Abruzzo? La situazione è ancora critica… Ai miei tempi per esempio, nella nostra regione c’erano forse 12-13 squadre femminili; quando al Nord esistevano già i doppi gironi. Ma per orgoglio ti dico che, all’epoca, ci facemmo valere come rappresentativa regionale. Nonostante le tante carenze e criticità, qualcosa si intravede anche da noi ma, siamo realisti, ci vogliono investimenti e persone che amano il movimento”.
“Mamma, voglio giocare a calcio”: cosa risponderesti a tua figlia?
“All’inizio dicevo: farò una figlia per farla giocare a calcio; pensavo e volevo che lei arrivasse dove io non ho potuto, che potesse godere delle opportunità e della visibilità che io non ha avuto nel calcio femminile. Ora la bimba è arrivata davvero e dico che non la spingerò; se vorrà sarò la prima sua tifosa ma deve decidere lei. Certo, uno sport di squadra lo farà sicuramente perché stare in un gruppo insegna molto della vita, insegna a vivere e rispettare gli altri”.
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