Lineamenti di sociologia dello sport di Nicola Porro, mi sta mettendo di fronte a una realtà che conoscevo per sommi capi e che ora sto iniziando ad approfondire e cioè come lo sport viaggia di pari passo con l’evoluzione sociale di un contesto urbano. Porro infatti analizza, attraverso le teorie dei sociologi che si sono occupati della materia, come si è passati dalle società medievali dove l’attività fisica era prevalentemente ludica, fatta per puro spettacolo anche nel segno della violenza, alle società industriali in cui si inizia a parlare di professionismo, di luoghi (stadi, palestre) dove svolgere l’attività sportiva per il piacere di un pubblico di spettatori, fino ad arrivare allo sport business dominato e “comandato” dalle logiche televisive, dalle società sportive trasformate in Società per azioni e dove il pubblico preferisce gli agi domestici al ritmo frenetico dello stadio.
Già, la televisione, una vera rivoluzione, uno spartiacque nella quotidianeità delle persone e dei tifosi. Volendo si potrebbe guardare lo sport 24 ore su 24 senza schiodarsi mai dal divano, senza parlare e ascoltare nessuno. Immobili davanti al tubo digitale che ci ipnotizza.
Vista da questo profilo, la tv è da negare e rifiutare, diventa un demone che distrugge l’umanità e i suoi rapporti sociali. Ma questo, appunto, è un modo di vedere. La televisione ha infatti un pregio: diffondere immagini, mettere a conoscenza visivamente di determinate realtà che rimarrebbero ignote o solo su carta. Una diffusione che, ovviamente, può riguardare il bello e il brutto della cronaca, la cultura, l’educazione civica e lo sport. Anzi, questi aspetti attraverso le immagini televisive, si fondono in un’unica pellicola quasi diventasse un film. Sì, una sceneggiatura del destino che parte da qualcosa di negativo per svilupparsi in uno scatto positivo; come per farci capire che, anche dalle cose peggiori, può venir fuori un piccolo esempio di bontà.
Ho avuto questo pensiero guardando in tv le drammatiche immagini dell’alluvione di Genova; una tragedia che ha spezzato vite, famiglie, attività commerciali e lo scorrere quotidiano di una comunità. Scatti, rumori, parole di terrore che vorrei non sentire mai più; a volte mi viene in mente di cambiare canale e guardare qualcosa di più bello, magari un cartone animato! Poi butti l’occhio sui social network e vedi Genova e i volontari che spalano il fango e…una maglia rossoblù. La divisa del Genoa! Un tifoso che prova a tornare alla sua normalità. Guardi meglio e…no! Non è un tifoso, è Luca Antonini capitano del Genoa che aiuta i suoi concittadini a tornare a sperare, alla vita. Altro giro sui social, altra immagine: due ragazzi, uno con la maglia dei grifoni, l’altro con quella della Sampdoria al servizio della città.
Non ho potuto né voluto fare a meno di legare quelle immagini in una sequenza, proprio come nella costruzione di un film. Un film che nel dramma di una catastrofe naturale, unisce una collettività con tutti i suoi substrati culturali tra i queli trova sempre posto lo sport, conscio del ruolo sociale che riveste, del seguito che genera, della fiducia che quella città ha verso i suoi idoli.
Il finale di questo film? Non lo so. La trama la stanno scrivendo giorno dopo giorno i genovesi, le istituzioni, le associazioni, gli imprenditori, gli agricoltori, gli studenti, i volontari e lo sport
“[…] come fatto sociale, capace di mettere in luce la trama sotterranea che regola le relazione collettive”.
Lineamenti di sociologia dello sport (N. Porro)