Cuore di cobra

Il ciclismo ha un “Cuore di Cobra”

Non ci avevo mai fatto caso.

Non avevo mai fatto caso ai soprannomi dei ciclisti: “El Diablo”, “Il Pirata”, “Il Killer”, “Re Leone”.

Ci voleva il libro Cuore di Cobra di Riccardo Riccò e Dario Ricci a farmi passare e soppesare il significato di questi nomignoli.

E già questo evidenzia come il libro sia un continuo stimolare, pensare, associare, ragionare, su certe questioni solo ed esclusivamente ciclistiche.

La storia di Riccardo Riccò, raccontata da Dario Ricci (giornalista sportivo di Radio24), è la storia di un uomo che arriva ad amare il ciclismo più della sua stessa salute; di un campione poco diplomatico che ama dire ciò che pensa e, di conseguenza, messo in sordina dai compagni di squadra.

E già, perché il concetto di squadra nel ciclismo, esiste ma non esiste; sei in team ma sei solo. Per la serie fidarsi e bene, non fidarsi e meglio…

Un libro che, pagina dopo pagina, scivola via con leggerezza una leggerezza che a volte mi ha spaventato specie quando leggi frasi del tipo:

[…]E’ una logica mafiosa, vero? E cos’altro siamo noi, in quel gruppo, se non una mafia, fatta di omertà, silenzio connivenze e intimidazioni.

Oppure:

[…] Ci dopiamo per lo spettacolo, per fare lo show, per andare avanti tutta, tenuti per le palle da manager e direttori sportivi che altrimenti non ti fanno lavorare perché non rendi, nelle mani di medici che ci tengono in scuderia come cavalli, gonfiandoci come polli e magari scommettendo pure tra loro su quale puledro batterà oggi gli altri.

Parole sulle quali sono dovuta tornare più volte, sulle quali ho dovute riflettere; frasi inserite tra una tappa e l’altra di una gara che mi risvegliavano delle bellissime immagini di paesaggi e luoghi italiani ed esteri.

Pugni nello stomaco che ti fanno capire come, dietro allo spettacolo mediatico c’è di più. C’è altro. Forse proprio quello a cui tu non vuoi pensare e che Cuore di Cobra ti mette davanti come la cosa più normale possibile.

Allora capisci il perché di quei soprannomi, alla fine del libro capisci quello che Riccardo e Dario dicono all’inizio:

[…] Perché è questo e ben poco altro sappiamo fare, pedalare, e poi ancora pedalare, oltre la soglia del dolore e dello strazio.

Con il suo Cobra, Riccardo ci vivrà bene finchè la “cura” non diverrà la sua prigione; finchè a fine squalifica nel 2010 la voglia di ciclismo, di tornare in sella, di vittoria, non hanno la meglio e la “cura” torna di nuovo a bussare ma… ma stavolta è la pelle del cobra che mangia se stessa: appeso tra la vita e la morte… sarà l’amore per il figlio a farlo restare sulla terra. A Tenerife, a fare il gelataio, insieme alla sua inseparabile due ruote questa volta solo per divertimento e relax…almeno fino al 19 aprile 2024. Poi, lo spirito del Cobra tornerà a farsi sentire? Chissà…

La biografia di un uomo che ha messo a nudo un mondo, quello del ciclismo fatto di invidie, gerarchie, nepotismo e “cure”; aspetti latenti che tu, lettore, immagini ma alla quali non vuoi credere.

Al contrario Riccardo e Dario te lo servono a parole semplici, chiare e ben scandite.

Un libro fatto di verità, di confessioni di un ciclista che da non sopportare la bicicletta, l’amata (e la ama ancora), per la quale ha rischiato tutto e tanto.

Una verità semplice, chiara ma pericolosa proprio come un Cobra.


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