Qualche giorno fa si è celebrata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne; una giornata che ha visto la mobilitazione anche dello sport.
A distanza di qualche giorno, pubblichiamo l’intervista gentilmente concessaci da Andrea Iommarini a una donna nello sport, una donna che lavora in una squadra maschile militante in Serie A: Emanuela Di Marco.
Ciao Emanuela cosa vuol dire essere unica donna in una quadra tutta maschile? Ma, soprattutto, esistono discriminazioni nel suo campo?
“Essere l’unica donna in una squadra maschile? Vuol dire tanto perché non è facile entrare nel professionismo a livello maschile anche se oggi, rispetto a 10 anni fa, sono molto più frequenti i casi i cui le società affidano il ruolo di fisioterapista a una donna. Le discriminazioni esistono in primis perché lo sport maschile è molto più prestigioso e retribuito rispetto al femminile; quindi anche a livello di staff i professionisti sono pagati in base a questa differenza perché ovviamente ci sono investimenti diversi. Nello sport forse le donne non sono viste di buon occhio semplicemente perché a volte dire donna vuol dire delicatezza e poca forza che invece con delle tecniche professionali, si può sopperire. Vorrei aggiungere e sottolineare che nel mio ambiente è stato facile inserirsi perché sia atleti che collaboratori rispettano la figura della donna tutti i giorni”.
Stop alla violenza sulle donne, come descriverebbe la situazione sul nostro territorio?
“La violenza sulle donne, considerando che a livello nazionale muore una donna ogni tre giorni, è grave; poi va considerato che se non si tratta di omicidio purtroppo non si parla e le denunce sono sempre troppo poche“.
Quando parliamo di violenza, sulle donne ma non solo, non ci riferiamo solo alla violenza fisica, ma anche a quella psicologica, verbale, sessuale… Quando, dunque, una donna si definisce “vittima di violenza”?
“Una donna è vittima di violenza quando subisce un’ingiustizia gratuita, una mortificazione, quando il solo fatto di essere donna è discriminante, questo per me è violenza. Quando non si sente libera di vivere la propria vita professionale, personale, di vivere le proprie passioni; di vestirsi come ritiene opportuno, quando subisce battutine a approcci gratuiti”.
Ad alcune donne capita di subirle senza riconoscerle come tali, o senza volerle riconoscere come tali. Come si spiega questo fenomeno e come si sta cercando di correggerlo?
“Alcune donne non riconoscono di essere vittime di violenza per un bagaglio culturale errato che ci portiamo dietro da anni; un fardello culturale che è la società patriarcale che dovrebbe essere invece già superato nel 1948 quando le donne hanno ottenuto il diritto di voto”.
La quarantena ha costretto voi, come moltissime altre realtà in tutto il mondo, ad apportare delle modifiche al modo in cui operate. Che cosa è cambiato per voi? E che cosa invece è cambiato per le donne vittime di violenza costrette a restare a casa?
“La quarantena è stata complice dell’omertà che porta tante persone a non denunciare perché se la violenza verbale e psicologica non viene fuori, quella fisica lascia dei segni quindi, per quanto si cerchi di coprire, a volte sono molto evidenti. Il fatto di essere costrette a vivere chiuse in casa, in primis ha permesso a tanti uomini di restare impuniti, in secondo luogo ha condannato purtroppo tante donne a subire sempre di più perché la convivenza prolungata e un alto livello di stress, porta all’esasperazione di parecchi stati emotivi. Il lockdown quindi è stato un momento davvero duro per tutto quelle donne che vivono in una situazione famigliare complicata”.
Come consiglia di agire se si è vittime di violenza o se si conosce qualcuno che pensiamo possa esserlo?
“Consiglio a tutte le donne di farsi aiutare e chiamare il numero dedicato: 1522 o scaricare l’app. Youpol, l’app realizzata dalla Polizia di Stato per segnalare episodi di spaccio e bullismo, è stata estesa anche ai reati di violenza che si consumano tra le mura domestiche”.
Un’ultima domanda per cercare di costruire insieme, da oggi e nel nostro piccolo, un futuro migliore: qual è l’insegnamento più importante che possiamo trasmettere alle nostre figlie ai nostri figli e per far sì che le terrificanti statistiche di oggi non siano più così spaventose un domani?
“L’insegnamento più importante per le nostre figlie? Riuscire a raggiungere un’indipendenza intellettuale ed economica per essere libere di fare e di scegliere senza dover contare su nessuno. Ai nostri figli dobbiamo invece insegnare a essere rispettosi di pensare ad ogni donna come fosse la propria mamma e a tutti i sacrifici che ha fatto per metterli al mondo”.