Daniele Nardi

Daniele Nardi e il suo mondo ad alta quota

Daniele Nardi è il primo alpinista nella storia, nato al di sotto del Po, ad aver scalato l’Everest ed il K2, le due vette più alte al mondo.  Dal 2002, anno in cui ha toccato per la prima volta la quota degli 8.000 sul Cho Oyu (sesta montagna più alta del mondo posta tra la Cina ed il Nepal), non si è più fermato.

Daniele Nardi Official

E’ sufficiente per capire il calibro di questo sportivo che ci ha gentilmente concesso questa bellissima intervista.

Amate la montagna? Daniele non solo ci racconta la sua storia, ma ci da dei consigli per rispettarla “entrando in punta di piedi”.

La sua prima arrampicata a quale età?

“In realtà è una predisposizione innata la mia ad arrampicare: ho delle foto da bambino (forse 10 anni ma sono difficili da datare), in cui sono appeso e arrampicato sugli alberi e papà si divertiva parecchio a scattare ricordi. La prima vera scalata invece a 16/17 anni quando, stanco di camminare per sentieri e pur non conoscendo nulla di arrampicata, mi feci comprare una corda statica, presi in prestito un imbraco e moschettoni da ferramenta e partii per le montagne di casa mia, vicino Latina. Furono i primi tentativi in cui inventare nodi, sistemi di sicurezza etc. Forse dovrei chiamarli tentativi di ‘suicidio’ considerando che non avevo nessuna conoscenza di tecnica di scalata , ma furono giorni indimenticabili. Al ritorno, mi fecero trovare la locandina di un corso di arrampicata che si teneva proprio a Latina. Da quel momento iniziò il mio cammino verso l’arrampicata sportiva che mi ha spinto verso l’alpinismo che per me è tutta un’altra storia”.

Come nasce la passione per l’alta quota?

“Nasce arrivando sul Monte Bianco quando vidi delle persone che salivano fino a 4.800 metri. Li vidi con un monocolo dal campeggio nel quale andavamo per fare escursioni a piedi. In quel momento capii che oltre alla camminata e alla scalata su roccia, c’era la possibilità di andare in quota. Fu così che iniziai a mettere i soldi da parte e mi feci accompagnare da una guida alpina a quasi 4mila metri: un colpo di fulmine capire che potevo di utilizzare l’arrampicata come mezzo per scalare. Infine, dopo aver toccato diverse cime, nel 2001 fui invitato, come giovane promessa dell’alpinismo di Centro Italia, a una spedizione internazionale nel Karakorum a 8mila metri di altezza. In quella circostanza scoccò la scintilla per l’alta quota”.

Quali sono i fondamenti per approcciarsi alle vette?

“Ritengo che ci sono 3 basi da sviluppare: l’allenamento fisico generale, l’allenamento tecnico di scalata su roccia, ghiaccio e misto di questi due elementi e l’aspetto mentale. Ecco, l’approccio graduale, capire il passo giusto, le altezze che si possono raggiungere è determinante. Mi viene in mente, grazie a questa domanda, il programma di formazione che sto sviluppando dal titolo Annienta i tuoi limiti: ho scoperto che, andando in montagna, ognuno di noi può sviluppare delle abilità superiori che possono poi valere nel quotidiano tipo sviluppare la leadership, la comunicazione e saper gestire le emozioni” questo aiuta nello sport e nella vita.

Si dice che la montagna va rispettata, in che senso?

“Nel senso che più la si conosce, più ci si allena e più si ha margine per gestire e controllare i rischi. Il meteo per esempio, in cima cambia rapidamente e a volte in modo violento, saper entrare in punta di piedi e, allo stesso tempo valutare ciò che facciamo, è un modo per rispettarla.  Rispettare la montagna vuol dire anche sicurezza. Facendo questo, possiamo godere del bello della montagna, sviluppare il nostro carattere e provare a essere persone migliori attraverso la montagna”:

La prima volta sull’Everest, quali emozioni ha vissuto?

“La prima volta sull’Everest ha coinciso con la prima volta sugli 8mila metri, quindi un’emozione grandissima; nelle spedizioni precedenti (Nepal e Pakistan) non ero mai riuscito ad arrivare in cima. Nel 2004 invece fu semplicemente grandioso: affrontai l’Everest passando non dal Nepal ma dal versante Nord (Tibet) e quando sono arrivato in cima ero entusiasta. Quasi non volevo credere che ero riuscito, non ti rendi conto dell’impresa finchè non scendi giù e sei al sicuro e tutti si complimentano con te per lo stile e la velocità con la quale salii. Come immagino quell’emozione? Un’esplosione di colori e sapori che si tramutano in gioia. Ovvio che, una volta toccata la vetta, il lavoro è a metà: bisogno affrontare la discesa… Sono tornato una seconda volta sull’Everest per un progetto scientifico dove mi occupavo delle riprese nel posizionamento di una stazione meteo; quella volta passammo dal lato Sud (Nepal) e anche lì fu un’esperienza unica perché ero di aiuto alla scienza italiana nel mondo a oltre 8000m”.

Qual è stata la spedizione più complessa?

“Due sono le variabili: la difficoltà della montagna che devi affrontare e la complessità dell’organizzazione per arrivare alla base. L’approccio più difficile è stato quella nel Kashmir Pakistano eravamo nella zona rossa nel senso lì c’è ancora la guerra tra India e Pakistan per cui abbiamo dovuto chiedere dei permessi speciali per poter arrivare al campo base. Valli chiuse da 70 anni a causa del conflitto, il più antico del mondo quello del Kashmir. Abbiamo chiamato quella spedizione Translimes Project, a cavallo dei limiti. Le vette delle montagne possono essere dei confini che dividono ma anche punti di contatto tra popoli e culture. In quella spedizione scalammo fino a 6 mila metri, aprimmo nuove vie; la ricordo come una delle più dure: fu un record più per ottenere le autorizzazioni che per il resto! Oggi quella montagna è purtroppo di nuovo inaccessibile. Sul piano alpinistico, ti dico la conquista dello Sperone Mummery del Nanga Parbat: una spedizione in pieno inverno, a -50 gradi; una cosa nuova ma davvero complicata da organizzare sotto il profilo tecnico”.

Porta la sua esperienza nelle scuole, come reagiscono i bambini agli incontri?

“Ho sempre ‘frequentato’ le scuole sia in tema di diritti umani, sia per far conoscere ai bambini la montagna quale mezzo per sfatare le paure e affrontare i propri limiti. Un mantra che racconto sempre è questo: ‘Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno’. E’ un messaggio che i ragazzi recepiscono molto e riescono a far loro. L’uso delle metafore e delle storie è potentissimo. A volte si hanno paure irrazionali, che non hanno legami con la realtà, in questi casi basterebbe avere il coraggio di aprire la porta e scoprire che in realtà possiamo affrontarle e queste si ridurrebbero drasticamente. I bambini hanno sempre risposto bene alla triade che presento: cultura della montagna, le grandi vette e i diritti umani quale base per vivere meglio il futuro. Sono state esperienze bellissime perché le domande dei piccoli sono libere e ti trovi ad affrontare temi che mai avresti pensato in una scuola media o elementare. Oggi purtroppo a causa dei numerosi impegni non riesco più a dedicarmi a a queste esperienze, spero un giorno di poter tornare”.

CiesseSei al Premio Rocky Marciano 2018. Ti senti di ringraziare qualcuno per quanto fatto finora’
“E’ stato un onore partecipare a un evento che sta diventando sempre più importante nel Centro Italia. Ringrazio Dario Ricci per la passione con cui mi ha voluto alla manifestazione e gli organizzatori che sono veramente gentili e professionali. Un grazie va anche al mio sponsor Ciesse Outdoor e Ciesse piumini per il sostegno continuo che mi da”.

Ultima domanda: Daniele Nardi d’estate, si concede un po’ di mare?

“Assolutamente sì. A differenza di altri alpinisti, amo il mare. Anni fa ho fatto un corso di apnea in assetto costante con la mia amica Ilaria Molinari, e subacquea con Giulio Venditti, mi piace navigare a vela e ho fatto anche delle regate. Questa estate il mare sarà ancora più importante in vista della nuova sfida che mi attende a dicembre. Avrò bisogno del mare per un po’ di relax e per gli allenamenti: Tra Latina e Gaeta dove vivo ci sono infatti pareti rocciose da scalare a picco sul mare delle quali approfitterò non solo per vedere il blu del cielo ma anche l’azzurro del mar Tirreno”.

 

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