“Festeggerò 22 a ottobre, sono di Vasto, attualmente sono istritta al corso di laurea in Servizio sociale all’Università G.D’Annunzio di Chieti. Non ho familiari sportivi, sono un pò ‘atipica’ in famiglia in questo senso”. A Postcalcium si presenta così Barbara Benedetti, calciatrice del Chieti Calcio Femminile. Volete saperne di più? A voi l’intervista!
Tu e il calcio: amore a prima vista?
“Puoi dirlo forte! Ho iniziato a tirare i primi calci al pallone sin da piccolissima, dentro casa di nonna, insieme a mio cugino. Ma non so perchè, nessuno mi ha indotto a farlo, è stato un istinto mio, in me è scattato un qualcosa di particolare, che poi col passare degli anni è diventata una vera e propria passione”.
Parlarci delle tue esperienze calcistiche.
“Sfortunatamente non ho frequentato alcuna scuola calcio, solo qualche mese a Vasto Marina, negli esordienti misti 7 contro 7. Prima di quell’esperienza giocavo a calcio sotto casa, alla villa, all’oratorio. Una volta compiuti 15 anni sono andata a giocare alla San Paolo Calcio Vasto in serie C, dove ho giocato per 4 anni; nel 2010 vincemmo anche il campionato. Dopodichè mi sono trasferita a Imola, dove sono andata in prestito per un anno all’Imolese, che disputava l’ormai scomparsa serie A2. Lo stesso anno giocai anche nella sua squadra primavera (in pratica il weekend era fatto di calcio a 360°) e vincemmo il campionato, per poi affrontare il Firenze nella fase nazionale e vedere infranto il nostro sogno. A fine stagione ho deciso personalmente di tornare nel mio Abruzzo, e sono approdata nel Chieti, appena neopromossa in serie B, nel quale a settembre inizierò in mio terzo anno”.
Quali sono le carenze del calcio femminile italiano secondo te?
“Sono senz’altro culturali ed economiche. La mentalità verso quella che è stata definita ‘l’altra metà del calcio’ è chiusa, il dominio degli uomini è evidente. A loro i soldi, la visibilità, gli sponsor, e noi relegate lì, in un angoletto, sole o quasi. Chi gioca in serie A femminile è una ‘dilettante’, mentre in altri paesi come Germania o Usa sono professioniste a tutti gli effetti, senza contare che gli stadi sono pieni di spettatori. In Italia, per vedere 200 spettatori è necessario aspettare il big match tra prima e seconda, per il resto, c’è desolazione. Noi possiamo solo assumere atteggiamenti da professioniste, ma formalmente non lo siamo. Questi solo alcuni aspetti su cui, a mio parere, bisognerebbe lavorare”.
Una ragazza che fa la calciatrice: raccontaci la tua giornata tipo.
“Bella impresa! (scherzo ovviamente). Da quando frequento l’università, la mia giornata tipo è fatta di lezioni durante il giorno e allenamenti la sera. Nel mezzo ci devo riuscire ad intersecare un pò di tempo per lo studio, per il ragazzo, gli amici. Insomma è la vita della maggior parte dei miei coetanei, con la differenza che ho tutti i weekend occupati e, 3 giorni su 7, la sera invece di andarmi a divertire, vado a correre su un prato verde. Disputando un campionato abbastanza impegnativo come quello di B, le energie spese per il pallone sono tante, e può capitare, ad esempio, che il lunedì dopo una trasferta lunga, non si ha la forza di alzarsi dal letto, e si perde del tempo utile per lo studio o altri impegni. In tutto ciò, faccio la pendolare, sia per studiare che per giocare, quindi vi sono giorni in cui esco la mattina presto già col borsone, vado a lezione, poi allenamento, e si torna a casa in tarda serata. In linea di massima, diciamo che è una vita di cui non ci si annoia!”.
Hai una squadra del cuore?
“Assolutamente sì, sono una milanista sfegatata, sin da piccola. Sono cresciuta osservando i gol di Sheva e Pippo, le cavalcate di Cafù e Serginho, due muri come Nesta e Maldini….potrei continuare all’infinito, mi limito dicendo: Forza magico!!”.
Cosa vorresti fare da grande?
“Naturalmente mi piacerebbe lavorare per quello per cui sto studiando. Vorrei fare l’assistente sociale, in che genere di specializzazione non lo so ancora, ci sto pensando. Sono particolarmente attratta dalle tematiche dell’integrazione sociale dei soggetti in situazioni di disagio e della povertà, vedremo”.