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Andrea Gessa: passato, presente e futuro nel calcio e non solo

“Il pallone: lo strumento che rappresenta la vera essenza del gioco”; l’intervista ad Andrea Gessa, ex calciatore di Pescara, Frosinone e Cesena, potrebbe chiudersi prima di iniziare.

Una frase chiave, vera, definitiva sul ruolo del pallone nel calcio. Frase scontata? No, perché forse da qualche anno di guarda poco il pallone che rotola in campo e troppo invece i social…

Ma perché Andrea Gessa ci ha detto una frase del genere? Scopriamolo nell’intervista.

Partiamo dal presente: Direttore tecnico della G Sport Calcio Femminile di Montesilvano.

“Una bella avventura. In 20 anni di calcio ho immagazzinato delle esperienze e mi sono sempre dedicato al miglioramento formativo grazie anche a tanti tecnici e allenatori; tutto questo mi ha permesso di delineare un mio credo calcistico sia a livello di prima squadra che giovanile. Quando Michele Galanti, responsabile del progetto, mi ha proposto la sua idea anche se opposto a ciò che avevo fatto finora, mi sono voluto avvicinare per due motivi: primo perché credo che in questo momento c’è bisogno di fare del bene, in secondo luogo ho visto nel progetto un futuro e la possibilità di mettere in pratica il mio format che ho sviluppato nel corso degli anni. Perché? Fare calcio è la priorità sicuramente ma la G Sport si lega anche a temi sociali e di educazione ambientale, alimentare e conoscenza del proprio corpo; tutti aspetti che, col tempo, integreremo con la pratica sportiva”.

Quanto può e deve ancora crescere il calcio femminile italiano?

“Siamo ancora in fase embrionale nella quale sarà complicato trovare numericamente le bambine ma le premesse ci sono e il calcio femminile in generale è il vero futuro del calcio italiano anche se siamo indietro rispetto ad altre nazioni. La nostra mission è dunque quella di avvicinare più possibile per ora le bambine, poi in futuro chissà…”.

Un salto nel passato: cosa ricordi del tuo periodo a Pescara?

“Premessa: del calcio mi manca tutto sia del campo si fuori dal campo e parlo della vita da dirigente; stare fuori dal contesto calcio non mi si addice. Ecco perché poter parlare di calcio anche se in modo diverso da prima, è un modo per essere ancora dentro al mio mondo a modo mio. Il periodo a Pescara? Ho sempre avuto un bellissimo rapporto con i tifosi e ancora oggi con molti mi sento, tanti mi scrivono; è un rapporto ovviamente fondato sulla stima reciproca nel quale i tifosi hanno sempre rispettato il mio essere lottatore e una persona sincera; la cosa più bella è che loro me lo hanno sempre riconosciuto e tuttora rimane l’affetto e la stima tra persone sincere che ho sempre percepito”.

Com’è cambiato il calcio rispetto al tuo mondo del pallone?

“Mi viene da dire tutto e niente; ciò che è davvero cambiata è la comunicazione del calciatore nei confronti del pubblico e dei giornali. Noi facevamo parlare il campo, ora spesso parla il social del campione… Noi avevamo una storia, quella di tutti i giorni sul terreno di gioco e ciò che vedeva la gente era la sincerità, la verità. Quello che accade ora, non so però se è meglio o peggio ma è la realtà”.

Consiglieresti ai tuoi figli/e di fare il calciatore/trice?

“Assolutamente sì! E’ troppo bello essere atleta, pensare di migliorarsi continuamente, avere degli obiettivi ogni anno più grandi; essere atleti veri non atleti immagine. Ovviamente la priorità resta lo studio e la capacità di trovare un’altra strada perché la vita di un atleta non dura in eterno…”.

Dopo il campo, qual è la giornata tipo di Andrea?

“Sto studiando per restare sempre nel calcio… Poi mi dedico alla mia vita da imprenditore di uno stabilimento balneare cercando di migliorarmi sempre”

Chiudiamo con il futuro, progetti?

“Il progetto prioritario è tornare nel calcio in un ruolo che mi possa soddisfare appieno. Sotto l’aspetto imprenditoriale non mi fermo ma sono sempre in evoluzione: collaboro anche con un’agenzia di marketing di Milano”.

IL PROTOCOLLO GESSA

Per chi verrà nella G Sport Calcio Femminile Magister, vogliamo fare qualcosa di innovativo sul campo. In tal senso ho ideato un protocollo per poter far sì che la bambina sia sempre al centro del progetto insieme alla palla. Essa cioè sarà di “proprietà” della bambina la quale dovrà curare, portare a casa e usare in tutti i tempi morti della sua giornata.

Il pallone sarà dunque come un orsacchiotto da coccolare, pulire, riportare al campo, usare e riportare di nuovo a casa dopo l’allenamento.

Questo perché il tempo che potremmo dedicare alle bambine, sarà sempre inferiore alle ore in cui loro potranno utilizzarlo a casa.

Tecnicamente al centro del progetto ci sarà il pallone: lo strumento che rappresenta la vera essenza del gioco che non è la ricerca spasmodica di un risultato.

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