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Federico Giampaolo: “Il mio Avezzano? Fiducia e collettivo”

Parliamo di calcio nostrano, cioè calcio d’Abruzzo, e lo facciamo con grande protagonista del pallone nazionale oggi allenatore dell’Avezzano calcio militante in Serie D: Federico Giampaolo.

Juventus, Pescara, Bari, Salernitana, alcune delle squadre in cui ha militato. Fino a quando, all’età di 40 anni, ha deciso di appendere le scarpette al chiodo e sedersi in panchina.

Ecco cosa ci ha raccontato.

Iniziamo da oggi: che campionato è quello del suo Avezzano?

“Positivo direi. Siamo terzi in classifica, la prima squadra abruzzese ad avere un primato del genere. Abbiamo avuto una partenza particolare dovuta al fatto che la squadra era destabilizzata dal cambio di allenatori; ora abbiamo trovato un equilibrio, i ragazzi stanno facendo bene e ci godiamo questa posizione in classifica meritata”.

Guardando la classifica, si prospetta un finale di stagione entusiasmante appena al di sotto della primatista.

“Vero, è un campionato molto equilibrato. Per la griglia play-off tutto è ancora aperto almeno fino al 10/11 posto. Mancano 7 partite al termine del torneo, ci sono ancora 21 punti in palio e c’è posto spazio per sbagliare: le avversarie sono pronte ad approfittare. Nulla è ancora deciso, serve molta concentrazione e bisogna stare sul pezzo”:

Quali i punti di forza dell’Avezzano 2017/2018?

“Fiducia e collettivo. I ragazzi, da quando sono arrivato, si sono messi in discussione e personalmente ho cercato di trasmettere loro il mio modo di giocare. Sono stato fortunato perché hanno recepito i miei messaggi e adesso esprimono un buon calcio consapevolmente quando entrano in campo”.

Facendo un salto nel passato: le manca il calcio giocato?

“Per niente”.

Tra i suoi ex colleghi, con qualcuno è nata una vera amicizia al di là del terreno di gioco?

“E’ inevitabile che stando insieme per diverso tempo si stringano legami. Se però devo fare un nome dico Ottavio Palladini con il quale mi sento spesso e allenando entrambi in Abruzzo abbiamo anche modo di vederci alcune volte”.

Ha giocato in molti stadi italiani, le tifoserie più calde?

“Bari, Salerno e Genova.  Su questi terreni di gioco senti davvero la passione della piazza per il pallone”.

Dalle scarpette al chiodo alla panchina: come ha iniziato la carriera da allenatore?

“Ho smesso di giocare a 40 anni quando ero a Sorrento. Ringrazio Angelozzi per avermi dato subito la possibilità di allenare la Primavera del Bari. Ho fatto il settore giovanile e con il tempo ho capito che allenare mi piaceva. Chi inizia a giocare all’età di 10/11 anni, sviluppa una passione per questo sport che riesci a fare solo quello; ritengo quindi giusto rimanere in questo mondo se, ovviamente, si hanno le possibilità per farlo”.

Ha una “panchina nel cassetto”?

“Bella domanda… Penso che bisogna essere ambiziosi nella vita, per questo in futuro mi piacerebbe guidare un grande club di Serie A ma sono consapevole che, per arrivare ai vertici, servono esperienza e gavetta”.

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