politico sportivo Mario Mazzocca

Mario Mazzocca, il politico sportivo

La politica e lo sport, un rapporto troppo spesso conflittuale. Senza andare troppo indietro nel tempo nel raccontare intromissioni e intrecci tra i due mondi, basta pensare al caso Barcellona e la sua netta presa di posizione del club in merito all’indipendenza della Catalogna.

Ma non è di questo che vi vogliamo parlare oggi. Cioè, analizziamo lo sport e la politica  ma dal punto di vista più armonico: il politico sportivo.

Spulciando nella vita di un politico abruzzese, infatti, abbiamo potuto constatare la sua passione per due sport: il calcio e il tennis; non semplice passione ma pratica effettiva degli stessi!

Di chi stiamo parlando? Di Mario Mazzocca, sottosegretario alla presidenza della Regione Abruzzo, che ci ha gentilmente concesso questa intervista.

Che rapporti ci sono tra Mario Mazzocca e lo sport?

“Sono nato praticamente con la racchetta in una mano e il pallone nell’altra. Ho iniziato da subito a praticare entrambi gli sport sulle piazze dato che all’epoca non avevamo ancora impianti sportivi adeguati. La piazza e la strada hanno avuto un’importante funzione formativa che attualmente spesso viene a mancare: al di là dell’aspetto socio-educativo che le scuole calcio giustamente promuovono svolgendo una funzione insostituibile, quello che manca un po’ è l’aspetto di fidelizzazione con la realtà che effettivamente ci circonda, incidendo poco sulla socialità e collettività. Calcio e tennis sono state le mie due attività sportive preferite che ho praticato fino a 7-8 anni fa quando ancora gli impegni professionali me lo consentivano. Gli ultimi risultati sono stati quelli da tre volte campione provinciale over 35 Uisp dal 2001 al 2003 per tre anni di fila con il Luigi Giammaria, gloriosa società con il presidente Emo Amedei, e miglior portiere per due anni (2001 e 2002)”.

Calcio e tennis: se fosse costretto a scegliere, su quale investirebbe?

“Riuscivo meglio nel tennis rispetto al calcio che comunque mi piaceva di più per un semplice motivo: il calcio si gioca in 11 e quindi il concetto di squadra prevale sull’individuo o sulla coppia. Nel tennis risultavo gradito ai miei compagni di doppio perché mi sapevo muovere soprattutto sotto rete ma il concetto di squadra non è sviluppato così come il tema dell’individualismo non fa parte granchè della mia cultura. Per questo motivo, anche dopo che ho smesso di giocare, mi sono impegnato nel mondo dilettantistico del calcio a livello di dirigenza proprio per cercare di promuovere questa sana pratica sportiva tra i ragazzi. Ritengo sia questo, oggi più che mai, il volto più autentico del calcio rispetto a quello che vediamo in televisione. E quindi investirei sul calcio, sul calcio di altri tempi”.

Ricordi da tennista…

“Il primo approccio risale alla vittoria di Panatta su Pietrangeli nei primi Campionati assoluti italiani nel 1970 che mi fece avvicinare in maniera importante a questo sport, al pari del fatto che venne realizzato un campo di terra rossa a 50 metri da casa mia e quindi avevo anche questa facilitazione. Da allora è nata in me una passione sconsiderata soprattutto per quel tipo di tennis che interpretava Panatta in maniera spettacolare: serve&volley, che poi io ho cercato di praticare e che oggi si vede sempre meno”.

Mario Mazzocca e il tennis agosto 1979
Mario Mazzocca e il tennis agosto 1979

…e da calciatore.

“Da calciatore intanto il primo spareggio che facemmo, in quel dell’Antistadio, con il Real Pescara contro il Folgore Fontanelle e che purtroppo mi vide dopo 20 minuti claudicante perchè mi slogai una caviglia. Nonostante tutto riuscii a finire i 120 minuti della partita che si concluse ai supplementari praticamente con un piede solo. Mi procurai questo infortunio ricadendo dopo un’uscita aerea sulle gambe di Franco Pace, che purtroppo ci ha lasciato prematuramente. Ricordo anche la miriade di partite giocate su campi infangati che vedevano all’epoca prevalere la voglia di giocare per una sana e incrollabile passione che spesso purtroppo oggi non si ritrova nei ragazzi più di tanto, molto probabilmente perché distratti dai social o da divertissement di varia natura. Come accennato, ciò che ricordo con più sentimento è appunto il calcio nelle piazze, secondo me quello più autentico. Ricordo anche la prima volta che indossai una maglia di una squadra calcio italiana di livello internazionale che presi con i punti delle figurine Panini e che indossai sotto il cappotto, di nascosto dai miei genitori che non gradivano vedermi uscire nel mese di dicembre per andare a giocare a pallone in pantaloncini e t-shirt”.

Com’è cambiato lo sport rispetto ai suoi tempi?

“E’ cambiato molto, moltissimo sia a livello professionistico che dilettantistico. Era un’epoca ancora romantica dello sport, del calcio e del tennis. Cosa che adesso non ritroviamo più. Se non per quanto riguarda il calcio, escludendo alcuni esempi come Totti, Del Piero e Zanetti, bandiere che hanno rifiutato offerte importanti dal punto di vista economico, offerte da club di livello mondiale, al pari di quanto fecero Mazzola, Riviera e Riva che rifiutò un’allora monumentale offerte della Juventus per continuare a giocare nel Cagliari. Sono scelte che non ritroveremo più: la parte del business è diventata adesso preponderante. Il tennis, negli ultimi quindici anni, l’ho seguito sempre meno. Seguo le vicende di Nadal e Federer ma sono rimasto ancorato al modo in cui si riusciva a giocare ai tempi di Borg, McEnroe, Connors e Panatta”.

Come stanno il calcio e il tennis abruzzese?

“Del tennis locale non ho la più pallida idea. Riguardo il calcio abruzzese, a livello dilettantistico, sta bene: devo dire che con la presenza pluriennale di Daniele Ortolano si è fatto un buon lavoro anche di disseminazione delle opportunità e dei risultati su territorio. Se si continua su questa strada, buone prospettive le abbiamo. Per quel che riguarda il professionismo, il mio amore per il Pescara non può essere alimentato o sminuito dalle vicende della Pescara calcio. Il ritorno di Zeman induce tutti noi a pensare positivo. La sua figura piace, come tecnico e come uomo che ha saputo parlare nettamente di Calciopoli in tempi non sospetti, avendo poi ragione perché ciò che affermava all’epoca è risultato vero, sancito dalla magistratura e dall’attività giudiziaria. E poi questa sua provenienza boema pervade sempre la sua figura con un alone di romanticismo. Era nipote di Vycpálek, centrocampista e successivamente allenatore della Juventus dal 1971 al 1974, in sostituzione di Armando Picchi che morì improvvisamente. Zeman giunse in Italia seguendo lo zio che gli trasmise la passione per il calcio”.

Mario Mazzocca tifa per…

Mario Mazzocca e il calcio agosto 1978
Mario Mazzocca e il calcio agosto 1978

“Mazzocca tifa per l’Inter. Uno che tifa Inter non può che avere milioni di dubbi nella testa. Qualcuno dice che per tifare Inter bisogna avere il cuore forte e probabilmente è vero. E’ stata una vita di ‘sofferenze’ coronata dal triplete del grande Mourinho ancora unico in Italia e che altre realtà calcistiche italiane purtroppo non possono ancora vantare. Non è facile tifare Inter per uno di sinistra perchè normalmente uno di sinistra e interista perde sempre. In campagna elettorale feci una scommessa con un mio amico di destra juventino: ‘Se mi voti e dovessi vincere, il comizio di ringraziamento lo farò indossando la maglietta della Juve’. Lui mi votò. Durante il comizio, che volgeva a conclusione, ricordai la scommessa: ‘Vorrei, ma non ho la maglietta’. A quel punto tre ragazzi, in pochi secondi, mi portano tre maglie: indossai quella di Appiah (nella Juve dal 2003 al 2005 n.d.r.) che mi andava un po’ di più”.

Se avesse un figlio atleta professionista, quale consiglio si sentirebbe di dargli?

“Un unico consiglio: quello di rimanere sempre se stessi e non pensare mai di sentire sulle spalle tutto il peso del mondo. Nel mio campo da rappresentante temporaneo delle istituzioni, spesso noto persone che cambiano carattere. Secondo me è la cosa più sbagliata del mondo: bisogna rimanere ciò che si è. Mi porto dietro la ‘colpa’ di aver trasmesso la fede per i colori nerazzurri ai miei figli, soprattutto al primo. Quando ho ristrutturato casa, ho inserito una finestra fissa con vetro intarsiato che raffigurava Che Guevara. Venne a trovarmi mio cugino, milanista moderato, che la vide e la commentò. Mio figlio, che all’epoca aveva solo tre anni, disse: ‘Ma questo è Che Guevara, un giocatore dell’Inter’”.

 

 

 

 

 

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