Torniamo a parlare di motori che rombano e delle quattro ruote che corrono sulle favolose piste di Formula 1. Questa volta con Andrea La Rovere, facciamo un salto nel passato quando a Pescara era lo scenario di uno dei percorsi più belli. Era il tempo della Coppa Acerbo…
La Formula 1 è sicuramente lo sport tecnologico per eccellenza. Siamo abituati a conoscerlo soprattutto in questa veste, con piloti bardati come astronauti, investimenti milionari per guadagnare quella manciata di decimi che può fare la differenza tra la gloria e l’assoluto anonimato; variopinte monoposto ricoperte dai nomi degli sponsor che si sfidano su tracciati lisci come biliardi e sempre più sicuri, grazie a vie di fuga sterminate come campi di calcio.La Formula 1 è sicuramente lo sport tecnologico per eccellenza. Siamo abituati a conoscerlo soprattutto in questa veste, con piloti bardati come astronauti, investimenti milionari per guadagnare quella manciata di decimi che può fare la differenza tra la gloria e l’assoluto anonimato; variopinte monoposto ricoperte dai nomi degli sponsor che si sfidano su tracciati lisci come biliardi e sempre più sicuri, grazie a vie di fuga sterminate come campi di calcio.
Eppure c’è stato un tempo, quando la categoria non si chiamava ancora “Formula 1” ma “Grand Prix”, in cui le corse automobilistiche erano veri campi di battaglia, e in cui le imprese di piloti entrati nella leggenda si collocavano a metà tra lo sport e le gesta degli aviatori eroi di guerra; le automobili da corsa, già allora velocissime, si sfidavano su strade polverose, le stesse riservate alle poche macchine che le percorrevano nella normale vita di tutti i giorni, strade di paese dove anziché vie di fuga e barriere ad alto assorbimento c’erano paracarri in cemento, alberi, pali della luce e dirupi.
Oggi siamo abituati a considerare il rischio come la remota possibilità che un capriccio del destino possa far andare storto qualcosa in competizioni programmate come computer sofisticatissimi, a quell’epoca, invece, il rischio era il fedele compagno di ogni pilota. La morte in una gara era accettata come una possibilità sempre in agguato, qualcosa di quasi ineluttabile, anche se, come oggi, tutti i piloti erano nel proprio intimo convinti che a loro sarebbe andata sempre bene; erano tempi in cui si aveva più familiarità con guerre che insanguinavano anche le città, con un patriottismo e un culto dell’eroismo che oggi, per fortuna forse, non conosciamo.
Era l’epoca degli eroi, dunque. Era l’epoca della Coppa Acerbo.
Nel 1924 Pescara come la conosciamo oggi non esisteva; il turismo era un fenomeno ancora embrionale sulle nostre spiagge, e le montagne erano popolate esclusivamente di pastori. La nostra città era divisa in due piccoli villaggi divisi dal fiume, Pescara e Castellamare, scarsamente abitati e dediti alla pesca e all’agricoltura, le cui abitudini poco si discostavano da quelle ottocentesche.
In questo contesto si corse la prima edizione della Coppa Acerbo.
Il circuito, che oggi viene ricordato tra i più lunghi e difficoltosi, era per l’epoca piuttosto moderno e in linea coi parametri del tempo; la partenza era fissata in quella che oggi è piazza Duca degli Abruzzi, coi bolidi che sfrecciavano in direzione sud verso l’odierna via del circuito (che prende il nome proprio dal tracciato), per poi piegare verso Villa Raspa e le campagne di Spoltore, attraversando il paese stesso per poi raggiungere Villa Santa Maria, Cappelle e finalmente riscendere verso Montesilvano e il temutissimo chilometro lanciato, l’odierna via Vestina, dove le auto raggiungevano velocità pazzesche, nel 1950 Fangio fu misurato a 310 km/h, su bolidi che “calzavano” pneumatici di larghezze che oggi troviamo sugli scooter.
All’altezza della stazione di Montesilvano si affrontava una stretta piega a destra che riportava le auto sulla Nazionale, lanciate di nuovo verso il traguardo. Oltre 25 chilometri.
A testimoniare il prestigio della gara, che l’ideatore Giacomo Acerbo, allora ministro del governo fascista, volle dedicare al fratello Tito, eroe abruzzese, la prima edizione venne vinta da Enzo Ferrari, allora giovane pilota dell’Alfa Romeo.

Sono gli anni delle grandi imprese e del patriottismo più esasperato, in cui si alternano le vittorie degli alfisti , nomi leggendari come Campari, Fagioli, Varzi e Nuvolari, a quelle della Germania di Hitler e della sua tecnologia all’avanguardia con Auto Union e Mercedes, portate al successo da Caracciola, Rosemeyer e ancora Varzi, passato alla concorrenza; ma sono anche gli anni delle tragedie, come quella di Guy Moll, proprio sul chilometro lanciato.
Il pilota algerino, di origini franco-spagnole, aveva solo 24 anni e si candidava a diventare uno degli assi più forti di sempre; ingaggiato nel ’32 dall’Alfa Romeo, aveva già trionfato all’Avus e a Montecarlo. Enzo Ferrari, anni dopo, l’avrebbe paragonato a Nuvolari e a Gilles Villeneuve.
E sono anche gli anni in cui l’automobilismo supera l’età degli eroi per entrare in una fase più professionale. Maserati Alf Romeo, Mercedes e Auto Union si dividono i trionfi.
Dopo la pausa dovuta alla Seconda Guerra Mondiale, la competizione torna con rinnovato prestigio; ora si chiama “Circuito di Pescara”, rinunciando a spiacevoli ricordi di regime, e ospiterà ancora per quattro volte quella che ora si chiama “Formula 1”, nel ’50, 51, 54 e, soprattutto, nel 1957 per quella che sarà l’unica edizione valida per il Mondiale. Sono passati oltre trent’anni dalla prima edizione, la tecnologia ha fatto grandi passi, eppure siamo ancora lontani anni luce dai tempi moderni; i piloti arrivano al circuito coi loro mezzi, dopo lunghi viaggi per mezza Europa. Moss, che vincerà la gara, arriva a Pescara con la sua auto, assieme al padre, dopo aver attraversato le stradine di montagna che giungono in città da Roma. Harry Schell e Tony Brooks giungono invece alla guida di una vettura che dovevano testare per una rivista inglese. Riguardo alla pericolosità della pista, i conduttori iniziano a dividersi in due fazioni; Moss e Brooks, ad esempio, amano il rischio e l’eroismo dei circuiti stradali, altri come Brabham ricordano le piste dell’epoca come “orribili, e Pescara era la peggiore”. La gara passerà alla storia, Pescara è infatti il circuito più lungo su cui la Formula 1 abbia mai corso, e sarà dominata da Moss, con la Vanwall, davanti a Fangio, non troppo a suo agio sulle strade di Pescara. L’unica Ferrari, quella di Musso, si ritirerà quando è seconda.
Il successo pescarese non servirà però a Moss per vincere l’agognato titolo mondiale che, anche in quell’anno, andrà a Fangio, per la quinta volta; anzi, Moss non riuscirà mai nell’impresa e rimarrà noto agli appassionati come “Re senza corona”, forse il più forte pilota della storia a non essere riuscito a cingersi del prestigioso titolo.
La storia della Coppa Acerbo è alla fine, come quella delle corse su strada e dei tempi eroici. Le impressionanti tragedie del 1955 a Le Mans, quando la Mercedes di Levegh esplose in piena velocità uccidendo il pilota e oltre ottanta spettatori, e quella alla Mille Miglia del 1957, quando la Ferrari di Alfonso De Portago falciò la folla dopo essere uscita di strada, fecero sì che le principali corse su strada fossero vietate. L’ultima edizione è del 1961, riservata alle vetture Sport. Inizia invece la leggenda, che vive ancora oggi tra rievocazioni, documentari (ne è appena uscito uno) e opere letterarie, come quella, interessantissima, di Richard Williams, “L’ultima corsa su strada”.