Formula 1. Oggi ci dedichiamo all’universo delle quattro ruote che affascina tutto il mondo visto la scelta delle recenti località dove disputare i Gran Premi.
Ne parliamo con Andrea La Rovere, autore già di altri articoli per il nostro blog, il quale punta l’accento sui circuiti che sono entrati nella storia della Formula 1.
Ma non solo: come potrete notare, ogni descrizione è accompagnato da una foto. In realtà non sono fotografie ma veri e propri dipinti che Andrea ha fatto personalmente in omaggio a uno degli sport che ama.
Curiosi? Bene! Vi lasciamo alla lettura dei 5 circuiti più leggendari della Formula 1.
Nurburgring
Nei primi anni del XX secolo la Germania era protagonista nel mondo delle corse con le due case nazionali: Mercedes e Auto Union. Nonostante questo, non disponeva di un circuito permanente per le corse. Per questa ragione si decise di costruire quello che, nella mente dei suoi progettisti, sarebbe dovuto essere il più difficile circuito al mondo: la Nordschleife era caratterizzata da 172 curve (di cui 84 a destra e 88 a sinistra) ognuna delle quali si differenziava per raggio, inclinazione e pendenza. Fin dalle prime edizioni del mondiale di Formula 1 il “Ring”, come viene spesso chiamato, tenne fede alle intenzioni dei progettisti, infatti, oltre alle tremende difficoltà legate alla lunghezza (era infatti quasi impossibile mandare a memoria tutte le curve del tracciato), si aggiungevano le condizioni atmosferiche spesso proibitive, con piogge torrenziali e non di rado una fitta nebbia che scendeva sugli oltre venti chilometri del tracciato. E non mancarono le tragedie, solo tenendo conto delle gare di formula 1 si ricordano le scomparse nel ’54 dell’argentino Marimon e nel ’58 di Peter Collins, giovane e promettente alfiere della Ferrari. E proprio un altro incidente a un ferrarista ben più celebre, Niki Lauda, nel 1976 mise a rischio la vita del pilota e fine alla storia del circuito legata alla Formula 1. Dall’anno successivo infatti si decise, tra il malumore dei piloti più coraggiosi e nostalgici, che la Nordschleife era ormai anacronistica per le sempre maggiori prestazioni delle moderne Formula 1, che così si trasferì nel non meno pericoloso Hockenheim e, negli anni ’80, di nuovo al Nurburgring, ma stavolta in un circuito tutto nuovo, molto più breve e piuttosto anonimo. Il vecchio “Ring” rimase comunque in attività ospitando ancora per anni importanti categorie come il DTM, l’Endurance e la formula 2. Oggi è utilizzato soprattutto come banco di prova dalle case automobilistiche. Tra le imprese più leggendarie che vi si ricordano, la vittoria di Fangio nel 1957, con una rimonta che meriterebbe una trattazione a sé, e la vittoria di Regazzoni del 1974, quando lo svizzero, sotto la pioggia, diede distacchi tali agli avversari che qualcuno, ironicamente, si chiese se non si fosse accorto che stava piovendo.

Spa Francorchamps
Il circuito di Spa-Francorchamps è il più antico e famoso autodromo del Belgio. Situato nelle vicinanze di Francorchamps, il circuito è sede del Gran Premio del Belgio di formula 1. Dall’idea degli organizzatori risultava un percorso di forma triangolare di circa 14 km, tra i più lunghi del calendario internazionale, e allo stesso tempo per via dei lunghi tratti rettilinei uno dei più veloci e impegnativi. Come per il Nurburgring, a contribuire alla leggenda del circuito le condizioni meteorologiche spesso avverse, con la pioggia e la nebbia a farla da padrona quasi tutti gli anni. E come per il circuito tedesco, anche Spa, dopo le epiche battaglie degli anni d’oro tra il ’50 e il ’70, venne abbandonato dalla formula 1 per le condizioni di sicurezza troppo precarie, solo nel 1960 vi persero la vita Bristow e Stacey, due giovani promesse inglesi, per poi tornarvi dal 1983, ma su un circuito pesantemente modificato e lungo circa la metà dell’originale. A differenza del “Ring” però, Spa ha conservato le sue caratteristiche e rimane oggi il circuito più spettacolare e difficile per i piloti, che lo amano molto, con una serie di curve entrate nella leggenda, dalla strettissima Source, spesso teatro di incidenti al via, alla sequenza Eau-Rouge Radillon, dove nel 1985 perse la vita il giovane Stefan Bellof, grande promessa tedesca, in una gara di durata. Vi si ricordano le straordinarie imprese sotto la pioggia di Schumacher, che vi esordì nel 1991, e il fantastico sorpasso di Hakkinen proprio ai danni del tedesco nel 2000.

Monza
La costruzione dell’autodromo fu decisa nel gennaio del 1922 dall’ Automobile Club di Milano. Si trattava del terzo circuito permanente realizzato al mondo e prevedeva un circuito costituito da due anelli che potevano essere utilizzati insieme, alternando un giro dell’uno a un giro dell’altro (il rettilineo d’arrivo era in comune e, in questo caso, veniva diviso in due corsie), oppure separatamente: una pista stradale di 5.500 metri con sette curve, e un anello di alta velocità di forma ovale con due curve sopraelevate, lungo 4.500 metri. Rimane ancora oggi una delle piste più veloci, nonostante le chicanes introdotte periodicamente per limitare le mostruose velocità raggiunte, e forse quella più simile alla versione originale, esclusi i tracciati cittadini come Montecarlo. Anche Monza, vera roccaforte della Ferrari che più volte trionfò non solo nella gara ma anche nella classifica generale proprio qui, fu teatro negli anni di grandi imprese e di grandi tragedie; nel 1961 Von Trips, che stava per laurearsi campione, fu coinvolto in una terribile carambola al primo giro, con le vetture che affrontavano in gruppo la Parabolica, rimanendo ucciso con 12 spettatori, mentre, sempre al via, il 1978 fu fatale al grande Ronnie Peterson della Lotus. Tra le edizioni più leggendarie quella del 1971, con Peter Gethin che vinse la sua unica gara in volata, con ben cinque piloti racchiusi in 61 centesimi di secondo. In questi anni il futuro del Gran Premio d’Italia appare a rischio per il sempre minor interesse in Europa verso la formula 1, fatto che spinge gli investitori verso circuiti extra europei.

Montecarlo
Il circuito è una sorta di collegamento tra la Formula 1 attuale e quella di una volta. In un calendario che ha progressivamente visto l’ingresso di autodromi ultramoderni e sicurissimi, Monaco riporta la mente ai vecchi Gran Premi, dove il rischio e l’abilità dei piloti erano in primissimo piano. Ricavato utilizzando le strade del centro cittadino, negli anni di storia, questo circuito ha scritto molte pagine memorabili e altrettante drammatiche. Diverse deroghe sono previste nel regolamento della Formula 1 a favore della pista. La pista di Montecarlo ha visto in un secolo di storia pochissimi cambiamenti, i più importanti a cavallo dei decenni 60 e 70, con il passaggio, nella parte finale del tracciato, dalla curva del Gasometro, tornante molto impegnativo, al complesso di chicane delle Piscine e alla lentissima curva della Rascasse; anche il tunnel è diventato negli anni più lungo e illuminato. Sempre al centro della diatriba tra chi lo vede come un pesante retaggio di un passato che non ha più senso di esistere, ormai obsoleto, e chi lo difende come ultimo baluardo, con Spa e Monza, della formula 1 d’altri tempi, Montecarlo si è rivelato in realtà sempre tra i circuiti più sicuri, questo in virtù delle velocità relativamente basse e di un’organizzazione efficientissima. L’unica vera tragedia fu quella del ’67, quando perse la vita il nostro Lorenzo Bandini e che portò a diminuire i giri da 100 a 78. Entrati nella leggenda il tuffo in mare di Ascari nel ’55, senza conseguenze, la carambola la via dell’80 causata da Derek Daly, le tante imprese di Senna, che qui si rivelò sotto il diluvio dell’84 e l’unica vittoria del nostro Jarno Trulli. Montecarlo, con tutti i suoi pregi e difetti, rimane forse l’ultimo circuito dove il pilota può ancora fare la differenza.

Circuito di Pescara
Concludiamo con un po’ di sano campanilismo, ma al di là di tutto la Coppa Acerbo meriterebbe un post a parte, e probabilmente lo faremo. Il circuito di Pescara misurava oltre 25 km, tanto da essere ancora nel Guinness dei primati come circuito più lungo della storia della Formula 1. Vi si corse la Coppa Acerbo fin dal 1924, corsa vinta dall’allora giovane pilota Enzo Ferrari. La gara iniziava nel centro della parte nord della città all’altezza dell’attuale Piazza Duca degli Abruzzi sulla ex via Nazionale Adriatica in direzione sud per poi girare all’interno, in direzione ovest, e percorrere il rettilineo dell’attuale via del Circuito fino alle campagne circostanti ed ai paesi di Villa Raspa e Spoltore. Da qui, il tracciato proseguiva con una serie di innumerevoli curve fino a raggiungere Cappelle. Di qui le automobili prendevano la direzione del mare e quindi intraprendevano ad altissima velocità il cosiddetto chilometro lanciato – dove, nel 1950 Fangio raggiunse la incredibile velocità di circa 310km/h – fino ad arrivare a Montesilvano dove poi il circuito svoltava verso sud, sulla via Nazionale Adriatica, dove veniva completato il giro. Dopo aver goduto negli anni ’20 e ’30 di grande prestigio come Coppa Acerbo, venne ribattezzata nel dopoguerra (per evitare vecchi legami col regime fascista) Coppa Circuito di Pescara e, per una serie di circostanze, fece parte del calendario mondiale della formula 1 nel 1957, in quella che resterà l’edizione più mitica della gara e forse l’ultima grande gara su strada della storia. Quell’anno si impose il grande Stirling Moss sulla Vanwall, ponendo così il suo nome nell’albo d’oro a fianco di miti come Ferrari, Nuvolari, Varzi, Rosemeyer e Fangio. Il circuito di Pescara era temutissimo per la sua lunghezza, lo stato precario delle strade, l’imprevedibile raggio delle curve e, somma di tutte queste caratteristiche, l’estrema pericolosità. La tragica scomparsa dell’astro nascente Guy Moll sul chilometro lanciato viene ancora oggi ricordata con un monumento e un parco intitolati al pilota algerino. Pescara rimane l’esempio più estremo tra i circuiti che abbiano mai ospitato una gara di Formula 1.
