La tradizione non è il culto delle ceneri ma la custodia del fuoco (Mahler)
di Barbara Rossi
psicologa dello sport
Molto spesso si sentono e si leggono preoccupati commenti degli addetti ai lavori di vari sport che sottolineano la difficoltà dell’Italia di produrre giovani atleti di livello internazionale in grado a breve di sostituire o affiancare quelli in via di pensionamento.
L’evidenza che sembra sfuggire è che non si può pensare di avere atleti competitivi se non si parte da una formazione di qualità dei giovanissimi che praticano sport.
In tutta onestà quello che vedo davanti ai miei occhi da diversi anni, 20 anni è il tempo che ho trascorso ad occuparmi di psicologia sportiva all’interno di società sportive di ogni sport e livello, è che, al di là di pochi organizzati sistemi sportivi, gestiti e portati avanti nonostante le difficoltà da rari illuminati, in Italia non si investe e non si crede davvero nei settori giovanili.
Con il tempo mi sono fatta l’idea che, forse perché il sostegno che arriva dalle Federazioni sportive non è sufficiente, o forse per motivi legati alla crisi economica in corso, chi si occupa di settori giovanili e lo fa correttamente non riesca a guadagnarci niente se non la soddisfazione di aver prodotto dei buoni atleti e delle persone felici. Le spese sono tali e tante che è già un miracolo se dopo aver pagato gli impianti adeguati, i giusti rimborsi a istruttori e dirigenti competenti, l’iscrizione ai campionati ed ai tornei, l’organizzazione delle attività, la formazione continua degli operatori e gli eventi, etc. si riesca ad andarci pari.
A causa di questo capita che molti addetti ai lavori si scoraggino e considerino i centri di addestramento allo sport infantile e giovanile poco più di un male necessario. A maggior ragione in tempo di crisi, invece, dovrebbe essere chiaro ed accettato al punto di non costituire un deterrente, che chi si occupa di bambini e ragazzi non lo fa per fare soldi ma, possibilmente ben assistito dalle Federazioni e dagli enti del territorio, per offrire un fondamentale ed insostituibile servizio alle famiglie ed alla comunità che se ben fatto non può che produrre anche atleti di spicco per le nostre nazionali.
I settori giovanili non sono un business con buona pace di chi li pensa contesti buoni per spillare soldi extra a genitori troppo sensibili al sogno di avere figli campioni o di chi li crede vie possibili per reperire risorse economiche da destinare alle spese delle prime squadre, veri oggetti del desiderio del dirigente sportivo/imprenditore per la visibilità che portano, per le opportunità che possono creare, per le carezze all’ego che può procurare la vittoria di un campionato.
I luoghi dove si fa la formazione dei giovani, così come le scuole, dovrebbero essere considerati sacri e protetti dal business o dalla smania di vittoria, luoghi dove si lascia entrare solo la competenza e la buona volontà di operatori che devono essere messi nella possibilità di fare un buon lavoro e allo stesso tempo essere coscienti della portata etica del compito di educatori che hanno scelto di assolvere.
Ai vertici di molte discipline sportive e non solo ai vertici, per lo più ci si limita a lamentare l’assenza di campioni o la preoccupazione di non averne più, senza pensare che la via per risolvere il problema sia SPENDERE per mettere in atto strategie e azioni concrete e organizzate, finalizzate a sostenere e finanziare i settori giovanili e/o a monitorare che le risorse impiegate (anche umane) siano adeguate ed effettivamente rivolte alla cura ed alla crescita ottimale a partire dai bambini più piccoli.
“Credere nei giovani” è un’espressione verbale che dovrebbe trasformarsi in fatti, scelte precise, investimenti e comportamenti, l’assenza dei quali trasforma l’operato di una società sportiva nella testimonianza dell’esatto contrario. Io non ho mai incontrato nessun dirigente che avesse il coraggio di dichiarare apertamente di non credere nei nostri giovani, ma tanti che nei fatti si comportavano come se non ci credessero.
Niente di nuovo se consideriamo che l’Italia sul tema bambini e sport già parte con un handicap notevole rappresentato dalla latitanza dell’educazione motoria nella scuola materna ed elementare, dove, ad eccezione di alcune virtuose realtà (ad esempio il protocollo di intesa tra il Miur ed il Coni chiamato “Sport di Classe”) che riescono a realizzare progetti validi e gestiti da professionisti, l’attività motoria è lasciata nelle mani delle maestre di matematica o italiano volenterose ma prive di competenze specifiche o delegata a saltuarie collaborazioni gratuite con le società sportive del territorio. In media in Italia nella scuola materna l’attività motoria è pressoché sconosciuta, mentre nella scuola elementare si va dalle situazioni idilliache in cui viene praticata due volte a settimana per un’ora a quelle situazioni normali in cui la frequenza va da una volta a settimana a mai, il tutto in uno scenario fatto di scuole con importanti carenze di palestre o strutture adeguate.
Trent’anni fa tutto questo non era un grosso problema perché molti bambini riuscivano a compensare le carenze ginniche scolastiche con il gioco libero di strada o di cortile che veniva praticato da tutti e regalava ai bambini schemi motori di base, prerequisiti funzionali, sviluppo del sé e acquisizione di abilità sociali e relazionali. Ora il gioco di strada, a parte qualche realtà di provincia baciata dalla fortuna del poco traffico e della scarsa pericolosità sociale, non c’è più e questo determina un solco di eccezionale profondità tra le nazioni realmente interessate alla salute e all’armonia tra il corpo e l’intelletto dei propri bambini e dunque anche alla loro riuscita nello sport e quelle per le quali ciò evidentemente non rappresenta una priorità.
Nei tempi moderni, dunque, l’attività motoria dei più piccoli è praticamente totalmente delegata alle società sportive ed alle Federazioni che le regolamentano. Sono loro che devono investire in un lavoro di qualità con i più giovani. Ma che vuol dire investire nei settori giovanili?
Il significato stesso della parola investimento indica l’attività di impiegare un capitale iniziale per raggiungere obiettivi finali, sarebbe dunque interessante capire in cosa lo sport italiano investe e come e con l’intento di raggiungere quali obiettivi.
La mia idea di INVESTIMENTO nei settori giovanili potrebbe essere riassunta e sintetizzata in alcuni consigli:
Organizzare e condividere
Spesso la fondamentale individuazione degli obiettivi e delle strategie annuali o a lunga scadenza delle società sportive, anche quando viene fatta in modo adeguato da dirigenti e tecnici competenti, non viene condivisa tra tutti i membri della società o tra le persone che comunque vi lavorano a vario titolo, anche di volontariato. Così facendo ognuno tende a interpretare a modo suo linee date senza chiarezza e ciò rende difficile sia la realizzazione di obiettivi comuni che la convivenza tra i ruoli e persone. La mancanza di comunicazione riduce le risorse esistenti e impedisce il confronto tra chi crede nel ruolo sociale dello sport, chi vuole arrotondare lo stipendio, chi ha smanie di vittorie, chi vuole aiutare i ragazzi a crescere e chi vuole plasmare campioni. Basterebbe dedicare un po’ di tempo (“investire” appunto) alla condivisione e al confronto per fare molto meglio ed a conti fatti anche con minore impiego di energie. Per contro, il non dare linee precise e/o il non spendere tempo ed energie per fondere il lavoro di tutti in un iter consapevole e programmatico, è una scelta precisa di voler lavorare male.
Scegliere sempre la professionalità e la qualità
Negli ultimi anni, sembra essere finalmente in crescita la consapevolezza del fatto che per lavorare con i più piccoli è meglio ricorrere alla professionalità di un laureato/a in scienze motorie. Questa è sicuramente una buona notizia ma tra il capire e l’investire risorse in questo senso ancora resta una bella differenza perché gli esperti in scienze motorie, seppur giovani, costano di più del pensionato ex giocatore o del ragazzo ancora in attività e ciò comporta che ai laureati, se questi non abbassano le richieste di compenso, vengano preferiti gli altri. Discorso altrettanto avvilente per gli istruttori ben qualificati che spesso oltre ad essere sottopagati sono anche rimborsati con mesi di ritardo e qualche volta finiscono con il non esserlo affatto perché i soldi delle quote pagate dalle famiglie dei bambini vengono destinate, come detto prima, a colmare i debiti fatti per altre voci di spesa tra cui il sostegno delle prime squadre, veri pozzi senza fondo nei quali vengono dirette tantissime risorse. Basterebbe non fare passi più lunghi della gamba per quanto riguarda le prime squadre, gestire la parte economica con equilibrio e competenza, muoversi meglio in collaborazione con altri enti o società sportive del territorio per la gestione comune di impianti e attrezzature, fare una buona programmazione, organizzarsi con anticipo e cercare delle sinergie convenienti per ridurre i costi. Tutto ciò per permettere che i settori giovanili non vivano di scelte di ripiego quali istruttori non qualificati, istruttori scelti solo perché capaci di procurare sponsor, utilizzo di impianti inadeguati, istruttori sottodimensionati rispetto al numero dei bambini, istruttori scontenti o dimissionari perché le società non riconoscono con puntualità o non riconoscono affatto i rimborsi spese pattuiti a inizio anno.
Formare e includere
Altro ambito di investimento completamente ignorato è il sostegno della genitorialità e la collaborazione vera ed effettiva con le famiglie. A parte qualche realtà fortunata e virtuosa che riesce ad avere una partecipazione equilibrata e costante delle famiglie tutte le altre si muovono in una terra di nessuno che si espande dall’esclusione totale dei genitori dal dialogo con la società ritenuto sconveniente e portatore di problemi, alla tolleranza dell’ingerenza continua e totale dei genitori nelle attività sportive ed agonistiche proposte, allo sfruttamento economico delle famiglie nella richiesta sistematica e continua di contributi per ogni sorta di attività extra anche associata all’illusione del successo dei figli nello sport. I genitori, così come gli istruttori e i dirigenti hanno un ruolo preciso e fondamentale che basterebbe costruire, orientare e mantenere attraverso un percorso SENTITO e partecipato da società e famiglie fatto di riunioni, di confronto, di formazione attraverso psicologi dello sport, medici, nutrizionisti, fisioterapisti, pediatri ecc. che duri tutto l’anno e si rinnovi negli anni. I tempi sono cambiati ed in quelli che viviamo adesso dove il rispetto reciproco non è più un valore tramandato, se non si considerano il supporto alla genitorialità e la costruzione di una collaborazione con le famiglie come obiettivi su cui lavorare con tutto l’impegno e la costanza necessari, non è possibile fare un lavoro di qualità con i bambini e i ragazzi.
Scegliere da che parte stare
In un mondo multietnico il problema non sono i ragazzi stranieri bravi che possono arrivare e giocare al posto dei nostri. L’invasione di talenti magari ci fosse poiché i talenti veri sono cosa rara e tutti hanno da migliorare ad allenarsi con chi è molto dotato. Ma coloro che arrivano da fuori, selezionati e importati da procuratori e talent scout purtroppo a volte senza molti scrupoli, spesso sono ragazzi normali, e molti di questi, vittime del sistema, dopo pochi anni vengono rispediti a casa loro senza tanti complimenti perché considerati deludenti. Il problema è che con i frutti dei settori giovanili in molti vorrebbero guadagnare ma molti meno sono disposti a fare ciò che serve cioè lavorarci duramente accettando l’assenza di risultati immediati. Il problema è che tutti hanno fretta di vedere i risultati mentre nella formazione dei giovani la fretta è un controsenso! E proprio questa fretta è la colpevole di tanti autogol! Chi cade in questa trappola pensa che sia più facile importare adolescenti bravini da fuori che formare bambini in casa propria lavorando tanto e senza garanzie di risultato. Un settore giovanile è una maratona non uno sprint e chi vuole farne una volata essendo sedotto dalla mentalità imperante del tutto e subito sappia che sta distruggendo la nostra possibilità di produrre tanti atleti di alto livello. L’integrazione tra i ragazzi bravi che arrivano da tutto il mondo fa crescere anche i nostri, non è quello il problema, il problema è che in pochi sono disposti a fare in modo che i nostri ragazzi arrivino ad un buon livello, proponendo un lavoro di qualità per tutti sin dalle fasce più basse d’età. Sarebbe il caso che ogni società sportiva dichiarasse da che parte stare, e magari fosse davvero quella di chi sceglie un’offerta formativa di altissimo livello ad ogni costo anche quando ciò comporta una gran fatica che forse non sarà ricompensata da allori ma da altre medaglie, quelle, come diceva Bartali, che si attaccano all’anima e non alla giacca.