Troppe banalità sul calcio alcune delle quali fuori luogo come, per esempio che i calciatori sono ignoranti e non hanno studiato. A parte che il verbo ignorare significa non sapere, non conoscere (Treccani.it) che poco c’entra con la scolarizzazione; e poi chi l’ha detto che i calciatori non studiano? In tanti sono quelli che hanno preso anche il famoso “pezzo di carta” cioè la laurea.
Noi abbiamo deciso di affrontare l’argomento da un punto di vista diverso. Abbiamo infatti chiesto un intervento al mental coach di Pescara Massimiliano Cilli.
Quando lavorare e laurearsi viaggiano assieme nella vita di un individuo, di certo si incontrano degli ostacoli di carattere pratico. Ma quando il tuo mestiere è quello del calciatore professionista, di sicuro il viaggio assume una complessità oggettiva ancora maggiore in funzione dell’impegno profuso.
Di fatto il calciatore ha una serie di impegni e di obblighi che lo costringono ad uno stile di vita particolare e che malvolentieri si sposano con la volontà di laurearsi. Il calciatore professionista ha la vita scandita da impegni precisi in funzione delle sue prestazioni in campo. In particolare 3 sono i temi che più di altri gravano nella vita del calciatore:
- In primis deve allenarsi tutti i giorni e per molte ore, con lavori e carichi diversi.
- Deve condurre uno stile di vita sano, e questo significa mangiare in un determinato modo, dormire le giuste ore e rinunciare a determinate attività che potrebbero mettere a rischio la sua integrità psicofisica.
- Terza cosa il calciatore viaggia. Viaggia sia per le trasferte (problema relativo) sia perché potrebbe essere acquistato da una squadra diversa dalla sua (problema oggettivo), allontanandolo di fatto dalla sede dell’università scelta.
Inoltre il calciatore deve fare i conti con altri fattori che rappresentano fonte di stress e potrebbero portare difficoltà come gli infortuni, l’essere relegato in panchina, i media.
Questi fattori e lo stile di vita scandito dagli impegni sopra descritti trasudano una realtà esistenziale complessa e che apparentemente non lascia spazio ad altre attività impegnative come quella di conseguire una laurea.
Ma allora come riescono molti ragazzi a laurearsi e contemporaneamente essere titolari di squadre impegnate in un campionato?
Siamo di fronte ad un paradosso, perché è lo stesso sport che praticano a donare loro gli strumenti per poter riuscire nell’impresa di giocare titolare e laurearsi.
E’ noto da più di duemila anni che lo sport è una fucina per la mente, e gli sportivi in generale ed i campioni in particolare, hanno la capacità di trasformare i limiti in risorse per la loro spiccata attitudine alla resilienza.
La resilienza è la capacità di un metallo a resistere agli urti senza spezzarsi. Nel mondo sportivo la resilienza equivale alla capacità di fronteggiare positivamente gli eventi traumatici e le difficoltà che si presentano. La persona resiliente riesce a ristrutturare gli accadimenti ed a spostare la propria attenzione dagli elementi negativi a quelli positivi.
Nella fattispecie i calciatori dotati di grande resilienza, riescono a non abbattersi di fronte all’ostacolo di dover conciliare vita professionale e studi, e trovano il tempo e le energie per riuscire a laurearsi.
Inoltre, vivendo in un mondo competitivo, dove conta chi arriva primo, i calciatori sviluppano una propensione a vincere, sviluppano ovvero la mentalità del campione che non si abbatte di fronte agli insuccessi ma si rialza e combatte. Questa caratteristica fortifica la resilienza.
Oltre alla loro spiccata resilienza, che per inciso è una dote che abbiamo tutti e che può essere sviluppata, ci sono altri fattori che contribuiscono a sviluppare campioni sia in campo che nella vita.
Svolgendo un lavoro che non è di certo un ripiego, ma sicuramente scelto in base ad un proprio talento o ancor meglio in base ad una propria potenzialità, si trovano a fare quello che più piace fare loro, trovandosi quindi nella condizione di poter sviluppare una forte carica motivazionale verso il lavoro stesso. Questa carica motivazionale fa da volano anche nelle attività fuori dal campo.
C’è poi la grande capacità di concentrazione che lo sport sviluppa nelle persone che lo praticano, rendendo quindi capaci gli atleti a poter performare anche in condizioni non favorevoli. La mente del campione riesce ad attivarsi completamente in determinate situazioni tipo la partita o l’allenamento, ma anche nello studio, contribuendo di fatto a massimizzare l’impegno profuso in funzione del tempo impiegato.
Tutto facile allora. Facile no, possibile si. Lo sport per forza di cose è una palestra anche per la mente e più di qualsiasi altra attività regala la possibilità di sviluppare una personalità vincente ed un’attitudine a conseguire obiettivi sfidanti.
La rosa dei laureati
Giorgio Chiellini
Zeljco Brkic
Christian Puggioni
Alessio Romagnoli
Federico Agliardi
Lorenzo De Silvestri
Angelo Ogbonna
Fabio Pecchia
Mario Ielpo
Sergio Campana
Massimo Oddo
Annibale Frossi
Franco Baldini
Piero Volpi
Fulvio Bernardini
Nello Governato
Jean-Alain Boumsong
Luigi Beghetto
Gianfranco Serioli
Guglielmo Stendardo
Nigel De Jong
Juan Mata
Simon Mignolet
Yuto Nagatomo
Michele Arcari
Roberto Colombo
Emanuele Belardi
Adrian Mutu
Jacopo Dezi
Oliver Bierhoff
Marci Ferreira
Ives Gonca
Francesca Papaleo
Giulia Di Camillo
Barbara Benedetti
la resilienza è un’attitudine da sviluppare anche nella vita di tutti i giorni e lo sport può essere sicuramente d’aiuto! grazie per questo spunto di riflessione