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Alberico Di Cecco, vita da maratoneta

<Un atleta in corsa è una scultura in movimento.>

A pronunciare questa frase Edwin Moses, ex atleta statunitense nei 400 metri a ostacoli, vincitore di due medaglie d’oro di specialità ai Giochi Olimpici del 1976 e del 1984. Un personaggio che ha dato tanto all’atletica basti pensare all’elegibilità olimpica e alla lotta al doping.

Data la premessa, è chiaro che in questo post parliamo della Regina degli sport (l’atletica leggera appunto), definita così dalla prima olimpiade del 1896 a opera di Pierre De Coubertin.

E lo facciamo attraverso questa intervista a un grande maratoneta abruzzese Alberico Di Cecco. Non lo conoscete? Ecco il suo palmarès:

2004: nono posto alle Olimpiadi di Atene con il tempo di 2h14’34’’;

2005: vince la maratona di Roma in 2h08’02’’;

2012: bronzo al Campionato mondiale della 100km percorsa in 6h40’29’’;

2014: Campione italiano della 100km con un tempo di 6h47’43’’.

Alberico, perché hai scelto l’atletica leggera come disciplina agonistica?

“In realtà credo sia stata lei a scegliere me. Ho iniziato all’età di 5 anni seguendo mio fratello. Non avevo alternative anche perché ho iniziato subito a fare seriamente con due allenamenti a settimana e le prime gare locali. Fortunatamente non mi sono mai distratto e i primi risultato sono arrivati; poi è nato il gruppo podistico La Sorgente (esiste ancora) e da lì è partita la carriera”.

Di Cecco AlbericoQual è la vittoria più bella?

“Sicuramente la maratona di Roma. La definisco la vittoria perfetta, la gara stessa sembrava un film che poteva avere solo un lieto fine soprattutto perché fu gestita bene, sin dai primi metri. E’ stata  importante per diversi motivi specie perché ha sancito la mia maturità professionale. Devo però dire che c’è un’altra corsa che mi resta nel cuore: la maratona di Piacenza nel 2002. Lì, con un ottimo ultimo chilometro, sono riuscito a vincere la prima gara a livello internazionale”.

Quindi, se dovessi chiederti cosa rappresenta l’atletica per te, mi risponderesti..

“La mia vita. E’ stato un percorso naturale che ormai è una forma mentis: vado e torno da lavoro correndo, mi piace organizzare, sono un tipo preciso e ordinato. Insomma la mia vita di tutti i giorni è e resta quella di un maratoneta”.

Nel 2008 la squalifica di due anni per doping. Sei stato assolto dopo 7 anni perché “il fatto non sussiste”. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?

“Per come si è conclusa, ne ho tratto insegnamenti positivi. Sono un Carabiniere, conosco i tempo della Giustizia; sette anni sono davvero tanti ma sono stati utili per sviscerare la situazione. Il processo sportivo, svoltosi in pochi mesi, mi aveva attribuito una positività dolosa che il tribunale di Pescara ha invece analizzato in ogni suo dettaglio fino all’assoluzione in formula piena. La differenza sta in questo. Nello sport, davanti a una positività di qualunque tipologia, compresa la mia nella quale non risultavano alterazioni all’organismo, si viene comunque squalificati per due anni. La richiesta di rinvio a giudizio del Pm, fu un duro colpo per me ma avevo fiducia nella giustizia e sapevo che tutto sarebbe finito bene. Anzi, è accaduto qualcosa di davvero bello: lo stesso Pm che mi rinviò a giudizio, 7 anni dopo ha chiesto l’assoluzione. In tutti questi anni ha capito una cosa: se lavori per un obiettivo e lo fai in modo corretto e con sacrifico, i risultati arrivano, basta crederci. Tutto questo non cancella quei due anni bui in cui le persone ti danno del dopato, ti lasciano solo e ti ignorano”.

In un momento in cui, soprattutto per i giovani sportivi, l’obiettivo sembra essere la vittoria a tutti costi, quali consigli ti senti di dare?

“Ritengo che per un giovane sia giusto avere una visione idealistica della vittoria. Se non si hanno obiettivo a quell’età, poi non si sogna più. Anch’io sin dall’età di 5 anni avevo un chiodo fisso: le Olimpiadi. Il problema è il contesto in cui il ragazzo vive: se il suo tessuto socio-familiare è malato, non avrà chiaro il limite tra il bene e il male. Sicuramente, quando si entra nella sfera del professionismo, entrano in gioco altri aspetti e vincere aggirando le regole e il rispetto dell’avversario, non ne vale la pena. Doparsi per poi vincere genera solitudine e abbandono e, credetemi ragazzi, non dà un briciolo di soddisfazione”.

Il prossimo maggio Roma ospiterà i Mondiali a squadre. Una bella occasione per il nostro paese.

“Sì, può essere l’occasione giusta per far ripartire uno sport in difficoltà. E’ infatti un momento buio esasperato anche dalla crisi generale. C’è da dire che a livello mondiale siamo indietro rispetto ad alcune nazioni che sembrano avere il podismo come dote naturale. E penso all’Africa che è davvero di un altro pianeta. Personalmente non direi mai a un giovane che potrebbe vincere a livello internazionale, gli africani sono imbattibili. Inoltre credo che ci sia un vuoto generazionale nella disciplina difficile da colmare anche a causa di una scarsa propensione al sacrificio da parte delle nuove leve”.atletica

Ultima domanda. Oggi chi è Alberico Di Cecco?

“Innanzitutto un felice padre di famiglia. Sono una persona con un carattere importante che ama lo sport. Infine, ma non meno importante, sono un Carabiniere con la passione per il  podismo che coltivo attraverso diverse iniziativa come la Maratona di Pescara”.

5 thoughts on “Alberico Di Cecco, vita da maratoneta

  1. Complimenti Francesca, sei riuscita a rendere con una perfetta sintesi ed una forma impeccabile il senso della discussione: viva lo sport, viva il podismo…vero!

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