
Pietro Mennea. La freccia del Sud. Quando il velocista correva, vinceva e batteva il record del mondo, io ero troppo piccola (e, in alcuni casi, nemmeno nata) per capire e guardare le sue imprese.
La fiction della Rai andata in onda nei giorni scorsi, mi ha fatto “conoscere” l’atleta e l’uomo Mennea.
Ho visto in lui la dedizione per il suo sport, l’atletica, che sentiva parte integrante del suo essere Pietro Menna. Quando correva si sentiva vicino al cielo, libero di non pensare.
In quelle due puntate, Michele Riondino, ha saputo esprimere tutta la sua passione, il suo sacrificio e la solitudine che un Atleta (con la “A” maiuscola) vive quotidianamente in ogni sport.
Leggendo il libro del grande Andre Agassi, Open, più volte parla del tennista come di uno sportivo solo in campo; avrebbe dato qualunque cosa pur di giocare a calcio per il senso di squadra, di gruppo e di appartenenza che si respira.
Io penso che anche un velocista è solo: quando scendi in pista e ti prepari per lo “Start”, sei tu contro te stesso, contro i tuoi fantasmi e le tue paure, contro il vento e la voglia di lottare per quel millesimi di secondo da strappare all’avversario.
Pietro Mennea non sapeva essere distaccato, viveva ogni singola emozione, non tralasciava nulla al caso e le sconfitte lo dilaniavano dentro. La sua solitudine si moltiplicava a livello esponenziale.
Avrebbe potuto mollare e lasciar perdere dopo Montreal ma non l’ha fatto anche grazie a un grande allenatore: Carlo Vittori.
Un altro aspetto, questo, che mi ha colpito: il rapporto tra l’atleta e il mister. Mennea spesso andava al faccia a faccia ma il tutto sfociava in un rapporto più inteso, vero. Ho avuto l’impressione che tra loro ci fosse un legame che andava al di là della professione; il rapporto che lega un padre e un figlio.
Credo che figura di un allenatore di spessore sia determinante in ogni disciplina ma per coloro che la vivono lo sia ancora di più sia sotto il profilo strettamente professionale sia per il tenore di vita.
La vita di Pietro Mennea, l’uomo che non ha mai dimenticato le sue origini, da dove veniva, la sua famiglia. E’ stato davvero toccante quando, rientrato a Barletta con il padre a bordo di una macchina da sogno per quei tempi, si vergogna e teme di fare la figura dello “smargiasso”.
Una scena che mi ricordato le parole di un altro campione, Alessandro Del Piero, anche lui emozionato e titubante nel tornare a San Vendemmiano con la sua nuovissima Lancia Delta integrale nel vedere il padre che toglie la macchina dal garage per fare spazio alla sua.
Umiltà. La sola parola che mi viene in mente pensando alle immagini in tv di Pietro Mennea; una parola che da sola dà il senso di sacrificio e dedizione nel raggiungere un obiettivo.
Con la fiction della Rai, ho avuto modo di sentirlo più vicino e di apprezzare lo spirito con il qualche è andato lontano. Parecchio lontano.